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The Aviator |
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Sottotitoli:
Italiano per non udenti, Inglese
Formato:
2.35:1, Anamorfico 16:9
Regia:
Martin Scorsese
Lingue:
Italiano Dolby Digital 5.1, Italiano DTS, Inglese Dolby Digital 5.1
Cast:
Leonardo DiCaprio, Cate Blanchett, Kate Beckinsale, John C. Reilly, Alec Baldwin, Alan Alda, Jude Law, Gwen Stephani, Ian Holm, Matt Ross
Durata:
170'
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La Tecnica
Basterebbe, per dare un quadro preciso di
quale sia, ormai, il livello tecnico raggiunto
da Martin Scorsese e dalla sua troupe, il
movimento di macchina che segue DiCaprio/Hughes
e Blanchett/Hepburn durante il bacio che
li conduce allo studio nell’immensa
casa del magnate: con un tocco delicato
e leggero come non se ne vedevano da “L’età
dell’innocenza” (The age of
innocence, Martin Scorsese, 1993), una confezione
perfetta e una classe cristallina si intuisce
quanto, per alcuni registi, poche inquadrature
siano necessarie per sintetizzare la parola
“talento”: se poi non fossero
sufficienti, i ventiquattro premi raccolti
fra la notte degli Oscar, l’American
Film Institute, la Boston Society of film
critics, i British Academy Awards, la Broadcast
Films Critics Association, la Chicago Film
Critics Association, i Golden Globes, la
L.A. Film Critics Association, la National
Society of film critics, la Producer’s
Guild of America, lo Screen Actor’s
Guild e la Writers Guild of America divisi
equamente fra attori, tecnici, film e regia
parlano da sé. Scorsese potrà
essere accusato di freddezza e accademismo,
ma certo con questo suo “The Aviator”
il regista italo-americano vola in uno dei
cieli più alti della sua pur luminosissima
carriera. Certo, i fan di Taxi Driver (Taxi
Driver, Martin Scorsese, 1976) e Mean Streets
(Mean Streets, Martin Scorsese, 1973) potranno
storcere il naso di fronte a tanta magniloquenza
di linguaggio, ma difficilmente –
soprattutto nelle ultime stagioni cinematografiche,
e pensando all’opera di tutti i giovani
registi attualmente in circolazione –
entrando in una sala si ha l’occasione
di assaporare così a fondo l’idea
stessa di cinema.
Proseguendo nell’analisi degli aspetti
tecnici, non è possibile non citare
lo straordinario lavoro di Thelma Schoonmaker
al montaggio, collaboratrice storica di
Scorsese e, di certo, fra i tre migliori
montatori al mondo in questo momento; con
lei un altro maestro, quel Dante Ferretti
sempre troppo poco premiato, autore di scenografie
mai a livelli così alti e raffinati.
Splendida la fotografia di Robert Richardson,
che filtra i momenti del ventennio narrato
nel corso del film attraverso i colori,
dipingendo quadri di eleganza sopraffina.
Perfetti costumi e trucco, in pieno rispetto
dello spirito dell’epoca raccontata,
così come funzionali e mai invasivi,
per quanto presenti in quantità,
gli effetti speciali, abile mix (come si
evincerà dal documentario nei contenuti
extra) di modellini, riprese strette sui
particolari e utilizzo del computer.
Epica al punto giusto quanto efficace la
colonna sonora, pur se a tratti invasiva,
forse l’aspetto tecnico meno “perfetto”
della pellicola. Per quanto riguarda il
cast, invece, nonostante i detrattori –
e sono numerosi – DiCaprio si difende
molto bene, dimostrando sul campo la fiducia
in questo progetto, dallo stesso attore
fortemente voluto e proposto a Scorsese.
Il protagonista di Titanic (Titanic, James
Cameron, 1996), liberatosi dall’eterna
aura di ragazzino della prima parte della
pellicola, da il meglio di sé quando
mostra la malattia e lo squilibrio del magnate,
risultato di studi attentissimi e sedute
di preparazione con un paziente affetto
dalla stessa sindrome di Howard Hughes.
Bravissima Cate Blanchett nel ruolo di Katherine
Hepburn, una spanna sopra le sue “colleghe”
Jean Harlow (Gwen Stephani) e Ava Gardner
(Kate Beckinsale). Ottimi come comprimari
John Reilly e Matt Ross, splendidi “cattivi”
Alec Baldwin e la “rivelazione”
Alan Alda, ma, pur relegato a una parte
di macchietta, straordinario Ian Holm, che
ancora una volta da prova di essere un attore
di incredibile talento al pari di molti
suoi coetanei più blasonati.
Come di consueto vado a chiudere citando
le tre scene che più hanno colpito,
nel corso della visione, il mio immaginario
di spettatore: comincio con l’incredibile
sequenza dell’incidente di volo su
Beverly Hills del 1946, perfetta alchimia
di montaggio, tensione narrativa ed effetti
speciali; lo schianto del velivolo è
stato realizzato con un modello in scala
minore e una combinazione di riprese da
cinque camere differenti dai particolari
del carrello e delle ali fino allo schianto
conclusivo. Di seguito segnalo lo splendido
passaggio legato al momento di maggiore
crisi di Hughes, quando, in seguito al trauma
dell’incidente e dell’andamento
negativo degli affari, il magnate si rinchiude
nella sua sala di proiezione privata, divenendo,
a tutti gli effetti, una sorta di Cristo
ustionato sul cui corpo ormai deformato
per oltre il 60% sono proiettate le immagini
dei vecchi film girati dallo stesso Hughes.
Concludo citando la conclusione, che andrebbe raccolta
in un blocco che dovrebbe racchiudere il processo, il
collaudo dell’Hercules e il dialogo conclusivo con
Dietrich e Odekirk, ma mi limito a segnalare il momento
in cui, di fronte allo specchio, in piena crisi da sindrome
OCD, DiCaprio/Hughes rivede se stesso bambino in un momento
di alto lirismo onirico che pare quasi una visione retroattiva
del futuro, fulcro delle sue imprese e serbatoio dei folli
sogni che da sempre hanno guidato ogni avventura dell’
“Aviatore”.
Contenuti Extra
La 01 Distribution, con l’edizione a doppio disco
di “The Aviator” ha realizzato uno degli apparati
di contenuti extra più ampio ed esaustivo che mi
sia mai capitato di analizzare, toccando quasi ogni aspetto
realizzativo della pellicola e raccontando nel dettaglio
la figura di Howard Hughes anche oltre i confini temporali
dettati dalla pellicola.
Il secondo disco dell’edizione si apre con la scena
eliminata che amplifica il confronto fra Hughes e Ava
Gardner a proposito del “prezzo di una persona”:
probabilmente tagliata per motivi legati al “politically
correct”, risulta comunque molto incisiva, peccato
non sia stata inserita nel final cut.
La successiva sezione del disco si occupa del “Making
of”, grazie a un breve documentario che, partendo
dalle interviste a regista e attori, nonché dei
biografi ufficiali di Hughes, passa dalla figura storica
del magnate alla sua interpretazione fornita da DiCaprio,
che spende parole lusinghiere per il regista e le sue
colleghe, interpreti perfette secondo la sua opinione,
per dare volto a due grandi attrici quali Katherine Hepburn
e Ava Gardner.
E’ dunque il momento di un documentario abbastanza
breve ma molto esaustivo sul profondo legame che intercorre
fra Howard Hughes e il progresso dell’aviazione
civile e militare negli Stati Uniti così come nel
mondo: fin dalla giovane età di quattordici anni,
infatti, il giovane milionario manifestò grande
interesse per gli aerei e le loro applicazioni, sfogando
lo stesso dapprima attraverso imprese straordinarie quali
i record di velocità ottenuti fra il 1935 e il
1937, poi sviluppando ed applicando i suoi concetti di
innovazione e confort durante un volo alla compagnia che
rilevò quasi dal nulla portandola al successo mondiale:
la TWA. Il tutto senza dimenticare le sue spericolate
imprese da produttore e regista cinematografico, le storie
d’amore e di gossip con le donne più belle
dell’epoca, i quattro incidenti aerei di cui fu
protagonista, le innovazioni apportate dal suo staff trainato
dalle indicazioni dello stesso magnate (il carrello retrattile,
la cabina pressurizzata, il volo oltre le nuvole), il
titanico progetto dell’Hercules e la sua malattia,
amplificata dagli effetti della morfina iniettatagli durante
la degenza a seguito del suo peggior incidente. Il capitolo
successivo, una lunga intervista ad Alan Alda e Leonardo
DiCaprio durante una serata di presentazione della pellicola
registrata prima della notte degli Oscar, presenta due
attori diversi per età, metodo, approccio ma profondamente
legati da rispetto e amicizia: molto divertenti gli aneddoti
e i siparietti inscenati dai due nel corso del dibattito,
ove si spazia dalla nomination come miglior attore non
protagonista di Alda fino alla passione messa da DiCaprio
– anche produttore – in questo progetto, fin
dalla prima lettura da parte dell’attore di una
biografia di Hughes fino alla proposta a Michael Mann
– anch’egli produttore –, John Logan
– sceneggiatore – e Martin Scorsese.
A seguito troviamo le interessanti sezioni legate agli
aspetti “tecnici” del film, dagli effetti
speciali, supervisionati dal regista della seconda unità
Rob Legato – nati dall’alchimia di modellini,
riprese in esterna con luce naturale e utilizzo del computer
– alle scenografie, introdotte dal “nostro”
Dante Ferretti, ormai alla sua sesta collaborazione con
Scorsese – un vero maestro per ogni production designer,
artista dell’arredamento e della resa fedele delle
ricostruzioni, basti pensare alla sua Hollywood Boulevard
ricostruita di poco più grande a Montreal –
fino ai costumi – coordinati da Sandy Powell, che
illustra in particolare il percorso “degenerativo”
interiore di Hughes attraverso i suoi abiti – e
al trucco – altro lavoro di ricerca straordinario
compiuto da un equipe che, soprattutto con le interpreti
femminili, stando alle indicazioni di Scorsese, ha dovuto
ricercare lo spirito dei singoli personaggi, più
che una trasformazione degli stessi come sosia -.
Chiude la parte “tecnica” la sezione dedicata
ad Howard Shore e alla colonna sonora, con l’analisi
delle fasi che portano il compositore alla realizzazione
finale, dalla prima lettura del copione all’interiorizzazione
del girato per gli aggiustamenti rispetto alle prime “visioni”
legate alla lettura stessa.
Inizia dunque la lunghissima parte dedicata alla figura
di Howard Hughes, spezzata in due capitoli: il primo,
un documentario di History Channel, ripercorre l’intera
vita del magnate, dal suo rapporto con i genitori fino
alla loro morte, dalla sua prima fortuna – legata
all’invenzione paterna di una particolare trivella
per l’estrazione del petrolio – fino alle
imprese Hollywoodiane di “Angeli dell’inferno”
(il film più costoso dell’epoca) e della
produzione di pellicole come “Scarface”, all’epoca
considerato eccessivamente violento da quasi tutte le
“major”. Attraverso testimonianze di biografi,
aneddoti, filmati d’epoca, l’intero affresco
dell’esistenza di Hughes – anche oltre il
ventennio illustrato dalla pellicola – rivela un
uomo controverso, criticabile, taciturno, dal pessimo
rapporto con l’esterno e la stampa, non ultimo a
causa del suo disturbo ossessivo per i germi amplificato
dalle conseguenze dell’incidente su Beverly Hills
del 1946.
Eppure, al contempo, Howard Hughes fu una sorta di genio
dell’innovazione, e pur non avendo specifiche conoscenze
tecniche o titoli, la sua voglia di progresso si tradusse
spesso nelle imprese non soltanto compiute fisicamente
come aviatore, quanto come trascinatore degli ingegneri
e uomini di scienza di cui negli anni si circondò.
Dal suo volo intorno al mondo – massima impresa
dello Hughes pilota – fino al breve, effimero decollo
dell’Hercules – il più grande idrovolante
che mai abbia preso quota – passando attraverso
il suo processo, l’acquisizione della TWA e il progressivo
peggioramento della malattia, che lo condusse all’isolamento
negli ultimi dieci anni di vita in una suite dai vetri
oscurati in un hotel di Las Vegas. Questo non gli impedì
di continuare a portare avanti il suo impero divenendo
al contempo il più grande proprietario terriero
del Nevada e l’uomo più ricco d’America,
nonché finanziatori di un numero incredibile di
progetti militari e scientifici dall’importanza
fondamentale a tutt’oggi, come lo sviluppo del primo
satellite che permise la diretta televisiva mondiale,
i missili a puntamento elettronico o il moderno letto
d’ospedale. Chiusosi in se stesso e preda di manie
sempre crescenti, denutrito e nell’oblio della dipendenza,
Howard Hughes morì nel trasporto aereo dalla suite
di Las Vegas all’ospedale di Houston nel 1976. Il
secondo capitolo della sezione dedicata a Hughes ci informa
sui dettagli della OCD, sindrome ossessivo compulsava
di cui il magnate era affetto. Attraverso il racconto
della preparazione del personaggio da parte di DiCaprio
– che ha lavorato con un paziente di OCD –
e le spiegazioni scientifiche del consulente medico per
la pellicola, apprendiamo i dettagli di una malattia per
la quale Hughes, a detta dello stesso consulente, non
ebbe assistenza psicologica adeguata.
Chiude la sezione degli extra un excursus sulla famiglia
Wainwright, dal padre Loudon ai figli Rufus e Martha,
tutti compositori e cantanti, che interpretano nelle diverse
epoche i “frontmen” del Coconut Grove, locale
utilizzato da Scorsese e Ferretti come clessidra della
pellicola, dai colori, alla moda, alla musica fino alle
vicende stesse dei protagonisti dagli anni ’20 ai
’40.
Come detto, splendida la confezione – in particolare
l’edizione a doppio disco – così come
la resa audio e video della pellicola. Plauso a un edizione
davvero “deluxe”. Commento Finale
Confesso che da tempo aspettavo l’ultima fatica
di Scorsese, ancora scottato dalla pur parziale delusione
del comunque buono “Gangs of New York”: eppure,
entrato in sala e nonostante le lusinghiere recensioni,
non avrei mai creduto di trovarmi di fronte un regista
ancora così pieno d’energie sommate ad una
indiscutibile – e, a questo punto, intramontabile
– classe.
Una delle migliori biopic uscite negli ultimi anni, e
sicuramente un opera che, in futuro, verrà presa
a modello come autentica lezione di filmmaking.
Citando di nuovo lo Hughes aviatore figlio del grande
schermo, direi proprio che la settima arte non poteva
trovare un modo migliore per farci volare nel nuovo millennio.
Mai come ora, grazie a Scorsese e al suo Aviator, il cinema
“ è il mezzo del futuro”. |
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