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Sonatine |
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Sottotitoli:
Italiano per non udenti
Formato:
1.85:1, 16/9
Regia:
Takeshi Kitano
Lingue:
Italiano e Giapponese 2.0
Cast:
"Beat" Takeshi, Aya Kokumai, Tetsu Watanabe, Masanobu Katsumura
Durata:
94'
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La Tecnica
Pare troppo poter pensare, da semplice appassionato, di
giudicare l’operato di un regista come Kitano, di
certo uno dei talenti più dirompenti attualmente
in circolazione nel mondo della settima arte, degno prosecutore
della grande scuola giapponese di Ozu, Kurosawa e Mizoguchi
e, di certo, loro erede in futuro. “Sonatine”
presenta tutte le caratteristiche che hanno reso grande
prima di lui “Violent Cop” (Sono otoko kyobo
ni tsuki, Giappone, 1989) e, di seguito, “Hana Bi”
(Hana Bi, Giappone, 1997): allucinate e strazianti sequenze
di sparatorie rapidissime girate con movimenti rarefatti,
esplosioni di violenza, lampi di poesia, uso del colore
come significante, montaggio frenetico per inquadrature
spesso fisse, cristallizzate nei primi piani dei protagonisti.
L’apporto tecnico “extra Kitano” si
attesta su ottimi livelli, dalle musiche di Joe Hisaishi
– l’equivalente del nostro Ennio Morricone
per il Giappone – alla fotografia di Hitoshi Takaya,
fedele all’iperrealismo voluto dall’autore.
Buono il cast, dove spicca sugli altri – come sempre,
del resto – l’incredibile “Beat”
Takeshi, maschera di ghiaccio dell’autore dal sorriso
ipnotico e irresistibile, qui non ancora turbato dai tic
nervosi legati alle conseguenze del suo tragico incidente
stradale del 1994. Plauso comunque alle sempre abili “spalle”
dell’autore Watanabe e Katsumura.
Tutto il resto appartiene, nella migliore tradizione dei
registi/factotum, a Takeshi Kitano: sceneggiatura, montaggio
e, ovviamente, regia. La resa finale, quasi inutile che
lo ribadisca, si attesta a livelli tecnici pari alle pellicole
succitate, completando con un'altra perla la “collana”
del cineasta giapponese, uno degli autori più continui,
a livello di qualità di produzioni, degli ultimi
vent’anni della settima arte.
Come di consueto segnalo le tre sequenze di maggior impatto
tecnico ed emotivo della pellicola, anche se, onestamente,
il consiglio sarebbe di proseguire senza indugio nella
visione, senza lasciarsi “convincere” da alcuna
anticipazione, ma, al contrario, abbandonandosi alla magia
e alla violenza della storia di questa “sonata”:
comincio con il citare lo splendido dialogo con cui ho
aperto il commento al film, una scena intimista di delicata
passione, semplice nello stile ed asciutta nel dialogo,
quasi un anticipazione della straordinaria storia d’amore
che verrà narrata, solo tre anni dopo, in “Hana
Bi”, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel
1997. Proseguendo, mi pare doveroso segnalare lo splendido
passaggio dal sumo “di carta” a quello in
carne ed ossa, sulla spiaggia, incorniciato dalle splendide
coreografie che anticipano, in qualche modo, il balletto
di “Zatoichi” (Zatoichi, Takeshi Kitano, Giappone,
2003), e rivelano una nuova tecnica di utilizzazione del
“fast forward” nel corso di una ripresa. Chiudo
con la sequenza finale, che trova quasi il capolavoro
con il montaggio alternato che associa la caduta nella
buca della ragazza in attesa di Murakawa alla fine del
gangster, legata, come anticipato, alla pistola e alla
paura. Sarebbe riduttivo cercare di rendere ulteriormente
a parole una delle più clamorose sequenze di cinema
del decennio appena trascorso, un momento così
alto da meritare, senza dubbio, uno spazio fra le immagini
più importanti che il grande schermo ci abbia mai
regalato. Contenuti Extra
La tanto attesa edizione italiana di “Sonatine”,
pur se corredata da una grafica interessante, non soddisfa
le aspettative dei fruitori, tanto più se fan accaniti
del cinema di Kitano: la Lucky Red, che pur aveva ben
presentato l’edizione nostrana di “Mr. Vendetta”
(Sympathy for Mr. Vengeance, Park Chan Wook, 2002), non
si preoccupa più di tanto di confezionare un apparato
di extra degno della pellicola qui presentata. Se, infatti,
un documentario o interviste approfondite sarebbero state
troppo per un opera così “lontana”
nel tempo, un trailer – come se non bastasse sottotitolato
in francese – e la filmografia del regista –
peraltro neppure aggiornata con il recente “Takeshi’s”
(Takeshi’s, Takeshi Kitano, 2005) presentato a Venezia
lo scorso settembre – paiono decisamente poco. Deludenti
anche la resa video e audio, che, almeno in lingua originale,
poteva essere rimasterizzato con l’ormai diffusissimo
Dolby Digital 5.1.
Commento Finale
Mi sono seduto ad osservare il mare, stringendo una pistola,
guardando le onde infrangersi sulla riva, cercando una
risposta a tutta la paura che ho dentro, ai colori, all’istinto.
Ho pensato al Destino e alla morte, alla vita e all’onore.
Ma non ho trovato nulla che non mi avesse dato tutto quello
che, da bambino, provavo giocando proprio qui, con i miei
amici di allora.
Non sembra neppure tanto lontano, a pensarci bene.
C’era un tipo, Takeshi, che scavava buche dove tutti,
prima o poi, finivamo per cadere, e rideva.
C’era chi si arrabbiava, chi non capiva, chi cercava
spiegazioni.
Ma di una cosa sono sicuro. Sul fondo della buca, disarmati
e beffati, nessuno fra noi aveva più paura. Forse,
se fosse qui, dovremmo ringraziarlo. |
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