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Old boy |
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Sottotitoli:
Italiano per non udenti
Formato:
2.35:1, 16/9
Regia:
Park Chan Wook
Lingue:
Italiano 5.1 Dolby Digital e DTS, Coreano 5.1 Dolby Digital
Cast:
Choi Min-Sik, Yoo Ji-Tae, Gang Hye-Jung, Chi Dae-Han
Durata:
119'
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La Tecnica
Se, dal punto di vista emozionale e contenutistico, è
fuor di dubbio la presenza di “OldBoy” nel
novero di titoli migliori che è possibile trovare
nel corso delle ultime stagioni cinematografiche (al pari,
potrei rischiare di dire, con “Million Dollar Baby”
e “Collateral”), la tecnica realizzativa non
è certo da meno. Una regia rigorosa e simmetrica
eppure straordinariamente personale e “sentita”,
una sceneggiatura al fulmicotone, senza alcuna sbavatura
e un montaggio splendido sono solo la punta di quest’iceberg
che, onestamente, spero si sia rivelato soltanto in parte,
riservandoci nuove sorprese nell’immediato futuro
e con i prossimi titoli (E’ stato presentato all’ultima
edizione del Festival di Venezia “Lady Vendetta”,
che sinceramente spero di vedere presto sui nostri schermi).
Un plauso, dunque, a Park Chan Wook, che orchestra perfettamente
la sua macchina da presa danzando fra sequenze di simmetrie
agghiaccianti – si veda, a tal proposito, l’attico
di Woo-Jin – e altrettanto kubrickiani intermezzi
di ultraviolenza accompagnati da brani di musica classica,
piani sequenza efficaci – il combattimento con i
carcerieri -, movimenti fluidi ed assoluta eleganza figurativa.
Ottima, come detto, la sceneggiatura, perfettamente tesa
e ben congegnata fino alla risoluzione (?) della vicenda,
e straordinario il lavoro al montaggio di Kim Sang Bum,
così alto da riuscire a dare maggiore valore perfino
ai raccordi della stessa sceneggiatura. Avvolgente la
fotografia, che spazia dalla freddezza notturna alle pitture
di Hokusai, splendida la colonna sonora, epica e coinvolgente
ma mai invasiva, anch’essa perfettamente legata
alla macchina quasi perfetta guidata dalla solida mano
del regista coreano.
Gli stessi effetti speciali, che spesso, pur se a tratti
impercettibilmente, ricorrono nel corso della vicenda,
non paiono mai fuori luogo, e divengono, al contrario,
un utile strumento narrativo al servizio della storia;
ottimo il cast, per il quale assegnerei una sorta di “aexequo”
ai tre protagonisti, dal sorprendente Choi Min Sik –
vegetariano che ha dovuto addentare un polipo vivo -,
alla delicata Gang Hye-Jung, fino alla perfetta nemesi
Yoo Ji-Tae, che vorrei rivedere al più presto,
sempre nel ruolo di “cattivo”.
Concludo segnalando le consuete scene clou, anche se,
devo ammetterlo, in questo caso ho davvero dovuto faticare
nello scegliere la mia personale “rosa” di
sequenze, considerata la complessiva qualità dell’opera:
per primo citerei l’incredibile inseguimento in
flashback di Dae-Su con il suo Io passato nell’intera
struttura del liceo dove lui e Woo-Jin studiarono da ragazzi,
splendido intreccio di effetti e movimenti di macchina
che ricorda le complicate asimmetrie dei quadri di Escher.
Passo dunque al confronto, accentuato dal un uso magistrale
del montaggio incrociato, fra Dae-Su e Woo-Jin nell’attico
di quest’ultimo, con parentesi di efferata violenza
e poesia assoluta – l’immagine di Mi-Do con
le ali è quanto di più incredibile si possa
chiedere a un cineasta – e, per concludere, allo
splendido flashback che riporta Woo-Jin al giorno della
morte della sorella, sequenza fondamentale non soltanto
per la risoluzione narrativa della storia ma anche per
lo stesso stile di narrazione, nonché l’ellissi
aperta dalla prima immagine in assoluto della pellicola,
ove torniamo ad ascoltare la frase già citata nel
commento: “Per quanto sia il peggiore degli animali,
non merito forse anch’io, di vivere?”. Senza
parole.
Concludo con un plauso anche ai formati audio e video:
la scelta dell’opzione per la lingua originale –
non sempre presente nelle pellicole orientali –
è azzeccata, e la resa, soprattutto su un televisore
e un impianto buoni, è certamente d’impatto,
nonostante non si tratti di un blockbuster da spettacolo
puro. Complimenti, dunque, alla Lucky Red, che conferma
quanto di buono dimostrato con l’uscita del già
citato “Mister Vendetta”, assolutamente da
recuperare, vedere e rivedere, accanto al gioiellino “OldBoy”.
Contenuti Extra
Come analizzato poco fa, l’edizione a doppio disco
di “OldBoy” si presenta molto bene anche riguardo
i contenuti extra, curati nel dettaglio come nel precedente
“Mr. Vendetta”, e distribuiti – se si
eccettuano credits e commento audio del regista alla pellicola
– nel secondo disco della confezione, come di consueto
per questi prodotti.
Seguendo il trend migliore di questo periodo per quanto
riguarda gli extra, la prima parte del disco è
dedicata a una serie di documentari sulla realizzazione
della pellicola, esaustivi ma mai così lunghi da
annoiare il pubblico, che toccano i dettagli realizzativi
più importanti, dagli effetti digitali alla colonna
sonora, dai ricordi del cast fino alle immagini di repertorio
legate al Festival di Cannes 2004, dove, come già
sottolineato, la pellicola di Park Chan Wook ebbe il Premio
della Giuria. La sezione prosegue con il consueto trailer,
che lascia spazio poi a una delle più ampie sezioni
di scene tagliate (ben dieci, pur se non lunghissime)
fra quelle da me analizzate per Overgame. In particolare,
in questo caso, segnalo le scene “Il bacio”
e “In metropolitana”, la prima per intensità
e tecnica, la seconda perché amplia una parte della
vicenda solo accennata nel corso della pellicola e nel
“final cut”.
Passiamo dunque alle interviste, realizzate nel corso
della campagna promozionale coreana della pellicola al
regista e ai tre protagonisti: in particolare mi sento
di segnalare quella di Park Chan Wook, utile non solo
a conoscere meglio l’autore dietro l’opera
qui analizzata, ma l’opera stessa. Indicazioni che
il regista fornisce quali ad esempio il suo rifiuto totale
per la violenza che si riflette nella ricerca al contrario
estremamente “decisa” delle sue pellicole
in tal campo, o l’ispirazione, soprattutto negli
elementi surreali dei suoi film, alla figura e ai romanzi
di Franz Kafka (immediato appare il rimando alla scena
della metropolitana con la formica gigante); curioso inoltre
notare la grande tranquillità e simpatia trasmessa
al pubblico dal cineasta, che, in netto contrasto con
le sue pellicole, pare davvero essere una persona cordiale
e disponibile.
Chiudono il disco degli extra una doppia sezione dedicata
al cast tecnico ed artistico e alle filmografie di Park
Chan Wook, Choi Min-Sik, Yo Ji-Tae e Gang Ye-Jung, poco
noti al pubblico occidentale ma più volte premiati
in patria e all’importante manifestazione Asian
Film Festival. Segnalo a questo proposito le due pellicole
più note in occidente ove Choi Min-Sik e Yo Ji-Tae
hanno ricoperto il ruolo di protagonisti: per il primo
“Ebbro di donne e di pittura” (Chihwaseon,
Im Kwon Taek, Corea del Sud, 2002), per il secondo “Natural
City” (Natural City, Min Byung-Chun, Corea del Sud,
2003).
Commento Finale
Esistono alcune opere che, come nella vita i giorni più
“duri”, per quanto colpiscano a fondo e indubbiamente
scuotano le coscienze – pur sempre attraverso un
mezzo di comunicazione e linguaggio qual è il cinema
– hanno la grande importanza – e senza dubbio
la responsabilità – di mostrarci l’estremità
di una o più situazioni, quasi potessero essere
un ancora di salvezza nel caso in cui queste situazioni
“estreme” si finisca per viverle, realtà
o fantasia che siano.
Una sorta di “schiaffo” alle nostre anime
che svegli dal torpore tutto quello che in noi giace da
troppo tempo e, al contempo, ciò che fingiamo non
esista, quel male che è parte di noi e si trascina
in silenzio, in attesa della prima vendetta. Niente moralismi,
soltanto crudele bellezza.
Così è la natura, e, in un certo senso,
l’uomo come suo figlio.
Anche il peggiore degli animali merita certo di vivere.
Forse Park Chan Wook non ha ancora compreso il segreto
della vendetta, ma, di contro, pare sapere molto altro…
Dimenticate Tarantino e soci, e preparatevi al silenzio
dopo una visione estrema.
Una delle prime pietre miliari di questo nuovo millennio.
Imperdibile. |
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