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Last Days
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Sottotitoli:
Italiano
Formato:
1.77:1, 16/9
Regia:
Gus Van Sant
Lingue:
Italiano e Inglese Dolby Digital 5.1
Cast:
Michael Pitt, Asia Argento, Lukas Haas, Scott Green, Nicole Vicius
Durata:
98'
La Tecnica
Se, come detto, dal punto di vista contenutistico, “Last days” può essere criticabile e non compreso, difficile, se non impossibile, è non apprezzarne la tecnica, di nuovo ad altissimi livelli dopo l'innovazione di “Elephant”, capace di riprenderne e, per certi versi, ampliarne linguaggi e risultati. Le regia di Van Sant, tutta piani sequenza, ellissi e movimenti di macchina freddi ed ipnotici, costruisce attorno a una sceneggiatura atemporale gli ultimi tre giorni di Blake attraverso continui ribaltamenti, seguendo il protagonista passo dopo passo, sempre alle spalle – anche in questo caso è ripreso uno dei “must” di “Elephant” – o senza guardarlo, prendendone le distanze raccontando gli altri personaggi eppure, e forse ancora più a fondo, parlando di lui soltanto immaginandolo, o vedendolo spuntare in un angolo, in fondo alla stanza, giù in cortile, sentendone le voce in lontananza, come dissolta nell'aria. Il montaggio, ad opera dello stesso regista, è funzionale alla narrazione e ben congeniato, pur se non perfetto come nella precedente opera già citata, ottima la fotografia, che tocca il suo apice nel corso del ritorno a casa di Blake nell'ultima notte prima della morte e la musica, dal bellissimo pezzo composto da Pitt agli straordinari Velvet Underground. Lo stesso Pitt spicca sul resto del cast, a dire il vero piuttosto anonimo, fornendo una prestazione d'alto livello e impatto certo, pur se profondamente aiutato dal regista che, per scelta stilistica e intelligenza, evita all'attore i primi piani che metterebbero a nudo la parziale inespressività del suo viso – come si era potuto evincere in “The dreamers” (B. Bertolucci, Italia, 2003) e in “The village” (M. N. Shyamalan, Usa, 2003) -. E' sicuro che, per quanto riguarda i protagonisti delle sue pellicole, Van Sant sia sempre in grado di trarre il meglio dagli attori di cui dispone, cui pare dia libertà quasi assoluta per dialoghi ed interpretazione, quasi si lavorasse senza copione o idee già imposte dalla sceneggiatura.
Come di consueto, propongo i tre momenti chiave della pellicola, difficili da associare a singole scene proprio a causa della struttura atemporale del montaggio: la prima menzione in ordine di “apparizione” va certo assegnata alla sequenza in cui Pitt, con il fucile imbracciato e un abito da donna, vaga con in mano un piatto di latte e cereali nella villa semi deserta, movimenti tesi eppure rallentati, occhi vitrei e una mimica che parrebbe derivare da una consulenza medica o dall'esperienza diretta nell'uso di droghe quali l'eroina, creando un atmosfera di disagio e tristezza – e non ilarità, come pare avere suscitato in alcune sale – come non se ne vedevano dai tempi di “Christiane F. e i ragazzi dello zoo di Berlino” (U. Edel, Germania, 1981).
La seconda citazione va, senza dubbio, all'ellissi legata all'indimenticabile “Venus in furs” dei Velvet Underground, storico gruppo dell'avanguardia rock negli anni '70 guidato da Lou Reed, compendio assoluto del cinema di Van Sant: inquadrature fisse, piani sequenza, la succitata ellissi, in un tripudio di musica e tensione glaciale come solo il regista di Portland sa regalare al pubblico. Curioso quanto appaia riduttivo parlarne qui, e in questo modo, lontani dallo schermo, ma di certo consiglierei la visione del film soltanto per questo passaggio, un vero gioiello che porta, almeno in questo momento, “Last days” ad un livello anche superiore al precedente “Elephant”. Chiudo con l'immagine splendida che scrive la parola fine, almeno nel mondo che conosciamo, di Blake, ritrovato nel capanno degli attrezzi da un giardiniere quando i suoi compagni si sono già dati alla fuga, temendo ripercussioni legate all'utilizzo della droga, e, dal cadavere del cantante, solo in una sala vuota, attraverso il riflesso dell'uomo di fronte alla porta a vetri, assistiamo “all'ascensione al cielo” dell'artista, in una delle immagini cinematografiche più intense e toccanti non solo dell'ultima stagione, ma, di certo, degli ultimi cinque anni. Nella storia recente della settima arte, ricordo solo un immagine capace della stessa forza e in grado di unire sacro, profano e contenuti in pochi fotogrammi: il “Cristo morto” di Mantegna rivisto nello splendido “Il ritorno” (S. Zvjagincev, Russia, 2003), Leone d'oro a Venezia due anni fa.
Dunque, per concludere, un progetto assolutamente imperdibile se non per contenuti o interesse per gli argomenti toccati, per la tecnica sopraffina attraverso la quale Van Sant ci racconta la Sua morte del mito.

Contenuti Extra
Come di consueto la Bim non presenta un apparato contenutistico eccezionale per i suoi prodotti, anche se occorre riconoscere almeno la volontà, per “Last Days”, di ampliare il più possibile il discorso in merito ai legami fra Blake e Kurt Cobain, senza ovviamente nascondere l'interesse commerciale implicitamente presente in questa scelta, considerata l'enorme fetta di pubblico che, a più di dieci anni dalla sua morte, l'ex-leader dei Nirvana ancora ritaglia per la sua fama di “maledetto”: si comincia con un documentario di media durata ( 20' ) che analizza il “Making of” della pellicola, partendo da interventi di Michael Pitt, Lukas Haas e della crew fino ad analizzare l'estetica del cinema di Gus Van Sant, regista cult per definizione nonché una delle voci più convincenti che il cinema “underground” abbia mai avuto. Interessante, in questo senso, scoprire l'altissimo livello d'improvvisazione alla base della realizzazione del film, libertà ovviamente ben accolta da tutto il cast che, in condizioni come quelle in cui Van Sant pone, ha occasione di esprimersi non solo al meglio ma, stando alle stesse parole di Haas e Pitt, “artisticamente e creativamente”. Si prosegue con una brevissima intervista al protagonista realizzata dalla Coming Soon Television all'uscita nelle sale della pellicola che si concentra sulla genesi “ufficiosa” della pellicola e sulla sua ispirazione alla figura di Cobain, per concludere con un intervento del giornalista di Repubblica Luca Valtorta, che, in una decina di minuti scarsi, illustra luci e ombre della storia personale e musicale dello stesso Cobain, dall'adolescenza fino al successo mondiale con i Nirvana, dalla nascita della figlia alla sua “doppia personalità”, dalla consacrazione a icona giovanile alle droghe e al suicidio. Troppo poco, in ogni caso, per un personaggio che ha fatto la storia – pur se solo musicale – di una generazione. Chiudo confermando il buon livello dell'edizione se non per i contenuti extra, per la parte audio e video, ben curate e di ottima resa, nonostante la consueta perdita della qualità rispetto alla visione su grande schermo.

Commento Finale

Van Sant e i suoi lavori, non è certo la prima volta che si scrive, sono ostici, a tratti ostili, accademici, estetizzanti e non amati: eppure, da appassionati di cinema prima ancora che spettatori, occorrerebbe soffermarsi sull'opera di un cineasta che ama alla follia i suoi personaggi, così tanto da prenderne le distanze, farli soffrire e, dote rara quanto scostante, riuscire a stare a guardare mente soccombono alla vita. Per confrontarsi con la crescita e imparare a viverla, o, più semplicemente e senza pensare ai possibili atteggiamenti snob della stessa entourage del regista di Portland e di Van Sant stesso, per godersi quello che Lukas Haas giustamente definisce non un film, ma un opera d'arte. Fredda, accademica, cinica, senza dubbio. Ma appassionata, vibrante e intensa come solo le grandi realtà possono essere. E, come lo stesso John Ford disse, “Quando la realtà incontra il Mito, vince il Mito.”. In quella pellicola il regista irlandese uccise uno dei suoi personaggi più rappresentativi. Van Sant ha imparato la lezione.
Il re è morto, viva il re.
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Recensione a cura di:
Gianmarco Zanrè
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