La Tecnica
Come già mi capitò di ribadire
all’uscita di “Hero”,
considero Zhang Yimou un ottimo regista,
nonostante ricorrenti accademismi e alcune
certo narcisistiche trovate visive al limite
della pignoleria, più che della poesia:
anche in questa sua ultima fatica, certo
più difficile e ostica della precedente
e meno immediata, il controverso cineasta
cinese conferma tutte le mie opinioni a
proposito del suo lavoro, alternando sequenze
di rara bellezza a momenti di in cui appare
decisamente più a disagio, spinto
forse da un eccessiva voglia di stupire
lo spettatore. La sceneggiatura, pur se
più lineare del complesso gioco a
scatole cinesi di “Hero”, necessita
a mio parere di più di una visione
per essere analizzata a dovere, e, in ogni
caso, lascia ancora alcune riserve in particolare
sulla risoluzione della vicenda che vede
protagonisti i due eserciti di Imperatore
e Pugnali Volanti, che appaiono brevemente
poco prima di fronteggiarsi senza fornire
in chiusura l’esito dello scontro
allo spettatore. E’ pur vero che i
protagonisti della pellicola siano altri,
e che la vicenda principale ha una risoluzione
per precisa, ma credo che se sviluppata
con maggior cura dei dettagli anche la parte
dedicata ai due schieramenti avrebbe potuto,
con l’aggiunta di qualche minuto in
più di pellicola, fornire ulteriori
spunti per eventuali commenti e confronti
in merito, considerata anche la situazione
particolare che tutt’ora vivono gli
intellettuali e artisti cinesi, non ultimo
lo stesso Zhang Yimou, più volte
accusato, a intervalli più o meno
alterni, di essere sostenitore del governo
o regista “ribelle”.
Ottima, come sempre nelle opere del regista,
la cura di musiche, scenografie e costumi,
rigorosamente ispirati agli antichi testi
di storia cinese e realizzati dalla straordinaria
Emi Wada, già collaboratrice di Akira
Kurosawa per quello che, senza dubbio, mi
sento di definire il suo capolavoro assoluto,
“Ran” (Akira Kurosawa, 1985).
Funzionale il montaggio, soprattutto per
quanto riguarda le scene d’azione
e il curatissimo doppio balletto iniziale
di Zhang Ziyi, tripudio di colori e architetture
modellate fino ai soprammobili sulle documentazioni
archeologiche dei collaboratori del regista.
Per quanto riguarda l’apparato tecnico,
la parte del leone è certo occupata
dalla fotografia, a tratti straordinaria
per colori e cura dei dettagli, come per
il suddetto balletto o la sequenza girata
all’interno della foresta di bambù,
dove i Pugnali Volanti appaiono come fantasmi
verdi nati dalla foresta stessa.
Un plauso anche al cast, limitato nel numero
ma efficace nella sostanza, dove spicca
Takeshi Kaneshiro, ottimo protagonista e
attore ben noto al pubblico di Hong Kong
per le sue collaborazioni, tra gli altri,
con Wong Kar Wai per i suoi “Hong
Kong Express” (1994) e “Angeli
perduti” (1996). Bravi anche Lau e
Zhang Ziyi, come sempre bellissima, anche
se non all’altezza della sua più
convincente interpretazione in “2046”,
dello stesso Wong Kar Wai, uscito quasi
in contemporanea con “La foresta dei
Pugnali Volanti”.
Come di consueto, chiudo la sezione tecnica
citando le tre scene clou della pellicola:
parto dalla sequenza nel campo fiorito,
un piccolo gioiello di fotografia, romanticismo
epico in puro stile cinematografico e coreografie
di combattimento in cui si mescolano citazioni
– la mano di Mei sul campo di fiori
tanto ricorda una delle intuizioni migliori
del certo non brillante “Gladiatore”
di Ridley Scott (2000) -, poesia –
i fiori raccolti durante la cavalcata da
parte di Jin – una luce perfetta e
un combattimento che ricorda quasi un balletto,
e che rimanda inevitabilmente alla perfezione
formale delle discipline orientali così
come alla stessa danza che da inizio alla
vicenda, all’interno del Padiglione
delle peonie. La seconda scena che mi sento
di citare, nonostante la validità
della sequenza all’interno della foresta
di bambù, è legata al confronto
fra Mei e Jin prima della loro separazione
e della battaglia finale fra le loro due
nemiche fazioni, narrata in tempi più
dilatati e cadenzata da lunghe inquadrature
fisse alternate da movimenti di macchina
leggeri e armoniosi attorno alla radura
ultimo rifugio dei due amanti così
vicini alla separazione.
Chiudo citando il bellissimo duello finale
sotto la tormenta, girato per caso in condizioni
così estreme (le riprese avvennero
in Ucraina, in ottobre, e non era prevista
neve) e climax perfetto per lo scioglimento
delle tensioni emotive accumulate dai tre
protagonisti della pellicola, capace di
stupire con una sorta di “triplo inganno”
legato proprio a quei pugnali volanti che
hanno reso così celebre la banda
cacciata dall’esercito imperiale.
Contenuti Extra
L’edizione a doppio disco, curata
da BIM e 01 Distribution, ottima sia nella
cura della confezione sia dal punto di vista
della qualità audio e video, conferma
anche nel doppio disco dedicato agli extra
il buon risultato di questa uscita, certo
all’altezza del precedente “Hero”
editato dalla Eagle Pictures. Aprono gli
extra una serie di galleries dedicate a
foto di scena e schizzi di costumi, scenografie,
armi e oggetti, testimonianza, principalmente,
della grande cura profusa dal regista a
ogni dettaglio nel corso della realizzazione
della “cornice storica” della
pellicola.
La seconda sezione del disco vede un breve
excursus che racconta date e locations ove
sono state girate le diverse scene del film,
dall’Ucraina della foresta, del campo
fiorito e del duello sotto la tormenta agli
interni di Pechino, passando attraverso
la foresta di Chongquin, sempre in Cina.
Si passa dunque alla parte dedicata a Cast
e Crew, un esauriente sezione – purtroppo
sprovvista di biografie – che riporta
le filmografie essenziali dei tre protagonisti
e del regista, passando attraverso le schede
dell’intero staff tecnico della pellicola
e di Song Dandan, attrice cinese di grande
fama in patria che interpreta la tenutaria
del Padiglione delle peonie.
Spiccano, tra gli altri, la già citata
costumista Emi Wada e lo staff di coreografi
per i duelli, responsabili delle coreografie,
tra gli altri, del recentemente revisionato
“Shaolin Soccer” (Steven Chow,
2001). Giungiamo dunque alla ricca sezione
dedicata agli storyboard, strutturata a
“doppio schermo” come fu per
“Hero”, e che ci permette di
confrontare gli storyboard di partenza del
regista con le sequenze di girato montate
nella versione definitiva della pellicola:
in particolare, abbiamo la possibilità
di rivedere la danza e il combattimento
al Padiglione delle peonie, la fuga dalla
prigione, quella nella foresta, la lotta
nel campo fiorito e la battaglia nella foresta
di bambù.
Chiude la sezione degli extra un lungo “Making
of” (45’), che ripercorre le
tappe della realizzazione della pellicola,
e attraverso interviste ai protagonisti
e, principalmente, al regista, ricostruisce
i passi compiuti dallo staff tecnico dalla
costruzione dei set (imponente e finemente
curato quello del Padiglione delle peonie,
costruito in più di due mesi) alle
coreografie dei combattimenti (delicata,
a quanto raccontato dai responsabili, fu
la sequenza girata nella foresta di bambù,
dove il tempo era limitato e la presenza
della nebbia limitava le riprese al solo
pomeriggio) fino ai concetti espressi dalla
pellicola, legati all’amore e alle
sue conseguenze e inclinazioni, filtrate
anche attraverso le battaglie, viste dal
regista come un espressione dell’amore
mutato in odio dalla passione. Interessanti
anche le interviste agli attori, da Andy
Lau – che dichiara che se si dovesse
verificare un altro sodalizio artistico
con Zhang Yimou e Kaneshiro eviterebbe le
pellicole d’azione a causa delle numerose
ferite riportate nelle battaglie -, a Zhang
Ziyi – avvantaggiata per la parte
dal suo passato di ballerina e reduce da
una lunga convivenza con una ragazza non
vedente utile a imparare i movimenti principali
legati al ruolo di Mei – fino a Kaneshiro,
che appare felice dell’esperienza
e definisce ogni indicazione di Zhang Yimou
come “da manuale di cinema”.
Curiosa, invece, la parte finale –
e più prettamente commerciale –
del documentario, che mostra regista e protagonisti
alla presentazione ufficiale della pellicola
avvenuta al Festival di Cannes 2004 e alla
prima assoluta di Hong Kong.
Commento Finale
L’amore, così come vendetta,
risentimento, onore e guerra, è uno
dei temi portanti della storia intera della
cinematografia mondiale, filtrato nel corso
degli anni attraverso le sensibilità
e le visioni di artisti provenienti da culture
e realtà profondamente diverse tra
loro, capaci di mostrare gli innumerevoli
aspetti di uno dei sentimenti che, nonostante
i giri di ruota, paiono continuare –
e destinati per sempre a continuare –
a sopravvivere e sopravviverci, creatori
o personaggi, qualunque ruolo ci si sia
ritagliati. E’ difficile, affrontando
questi temi, riuscire ad essere innovativi
e coinvolgenti, e se certo “La foresta
dei pugnali volanti” non comparirà
fra le pellicole migliori per quanto riguarda
il primo aspetto, non ha nulla da invidiare
a molte altre per quanto concerne il secondo:
se “Hero”, prima di lei, rappresentava
in un certo senso la capacità di
razionalizzare i sentimenti, pur profondi,
dei suoi protagonisti, così come
le loro scelte “calcolate”,
in questo caso neppure la menzogna riesce
a guidare la storia fino in fondo, ed è
il sentimento a prendere possesso del timone
per lasciarlo, in chiusura, in balia delle
“onde del destino”.
Se ruota deve essere, sia. Anche se dovesse
significare venire schiacciati dal suo peso.
L’importante, una volta per sempre,
sarà averla cavalcata fino alla fine.
Se Zhang Yimou fosse un combattente, probabilmente
non sarebbe il migliore, ma battersi con
lui sarebbe sempre un piacere.
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