La Trama
Cina, 859 D.C. L’impero, indebolito
dalla guida poco carismatica della dinastia
Tang, attraversa una pesante fase di declino,
spezzato dall’interno da conflitti
con bande di briganti operanti in tutto
il paese che sostengono con il loro operato
la popolazione stremata dalle carestie:
la più pericolosa, importante e attiva
di queste bande, i famigerati Pugnali Volanti,
dopo aver perso il loro leader, torna ad
organizzarsi costringendo i sui naturali
nemici, le guardie imperiali, a un estenuante
e continua ricerca dei fuorilegge.
Leo (A. Lau) e Jin (T. Kaneshiro), due ufficiali
che furono parte attiva della missione che
condusse all’uccisione del precedente
leader dei briganti, grazie ad informazioni
che indicano la casa di piacere Padiglione
delle peonie come possibile rifugio dei
Pugnali Volanti, ordiscono un piano alle
spalle della danzatrice cieca Mei (Z. Ziyi),
in base alle stesse fonti figlia del defunto
comandante dei Pugnali. Inscenando un fittizio
arresto, Mei viene condotta in cella dalle
guardie e liberata dallo stesso Jin, camuffato
da nobile spadaccino errante, che con la
ragazza si da alla fuga verso il cuore della
foresta ove si celerebbero i compagni della
ragazza, forte della fiducia guadagnata
presso di lei grazie al salvataggio dalle
guardie imperiali. Leo, come un fantasma,
segue le orme del compagno infondendogli
coraggio e rivelandogli, passo passo, le
intenzioni del loro generale, che, a sua
volta, ha messo sulle tracce dei fuggiaschi
soldati che non conoscono Jin e che rischierebbero
di togliergli la vita se dovessero trovarlo
in compagnia di Mei. Leo, conscio della
tentazione che la stessa giovane rappresenta
e del carattere impulsivo dell’amico,
consiglia inoltre Jin di non lasciarsi coinvolgere
dalla bellezza e dalla passione di Mei,
poiché finirebbe per rischiare troppo
anche per una missione importante come quella
in cui i due ufficiali hanno deciso di imbarcarsi.
Eppure, qualcosa pare essersi rotto nel
cuore di Jin, combattuto fra i suoi doveri
di funzionario imperiale e l’amore
crescente che sente di provare per la giovane
Mei, che conforta e protegge arrivando addirittura
ad uccidere i soldati stessi inviati dal
generale che, nonostante le spiegazioni,
rifiutano di credere all’infiltrato.
Battaglie, inseguimenti e fiammate d’amore
accompagnano i due fuggitivi attraverso
la foresta per tre giorni che paiono dilatarsi,
fino a quando, catturati dai soldati e prossimi
alla morte, consci l’uno dell’amore
per l’altra, verranno soccorsi dai
Pugnali Volanti, guidati dal loro nuovo
comandante, la stessa tenutaria del Padiglione
delle peonie, conscia dell’intero
intrigo fin dall’inizio, e pronta
ad accogliere le forze imperiali nel cuore
della foresta per l’ultima battaglia.
Due ostacoli, però, sono ancora sulla
strada dei protagonisti della storia: i
doveri di Jin come soldato dell’impero
e quelli di Mei come membro dei Pugnali
Volanti. La ragazza, infatti, ha l’ordine
di allontanare Jin dal rifugio della banda
per poi giustiziarlo a dimostrazione della
sua fedeltà alla causa. Come i due
innamorati affronteranno il loro Destino,
che li vede assegnati a due opposte fazioni?
E quale ruolo avrà, e ha rivestito
Leo in tutta la loro vicenda? Cosa sceglierà
l’uomo che, come un fantasma, ha sacrificato
la sua vita per un ideale che vede ora messo
in discussione? Cosa conterà di più
per il cuore: tre anni di dedizione, o tre
giorni di passione? Alla neve, al sangue
e al Destino le risposte, consci del fatto
che la guerra, in un modo o nell’altro,
priverà tutti i protagonisti di qualcosa…
Commento
Le antiche credenze Maya, si narra, vedono
il nostro mondo come un continuo alternarsi
di cicli, che determinano l’ascesa
e la caduta di civiltà, uomini, donne,
passioni e imperi, destinati a fiorire ed
appassire come orchestrati da stagioni ben
più ampie e dilatate di quelle che
siamo abituati a vivere nelle nostre brevi
esistenze di mortali: proprio questa ciclicità,
la storia che si ripete, il rinnovamento
e il colore paiono essere al centro di una
nuova riflessione sulla natura dell’amore
del regista di “Hero”, che,
come per la suddetta pellicola, maschera
abilmente un film di sentimenti con quel
“cappa e spada” che tanto ha
giovato al cinema cinese da “La tigre
e il dragone” (Ang Lee, 1999) in avanti.
Anche questa volta siamo di fronte a un
triangolo crudele e colmo di passione, minato
dalle bugie e dalla guerra, dalle rivalità
politiche trascese in un respiro da quelle
personali, e ancora una volta due tipi di
amori si confrontano generando tutta la
violenza e l’odio della battaglia,
così come la purezza e la generosità
del sacrificio: la silenziosa dedizione
di Leo, soldato modello, grande combattente
e uomo ferito, e l’esplosiva passionalità
di Jin, che come il vento colpisce, irride,
scherza e pare poter volare – o darne
l’illusione – oltre una realtà
che, inevitabilmente, sceglie per i suoi
protagonisti quasi sempre la via più
difficile da percorrere. Tra loro, inafferrabile
e bellissima, la danza di Mei, resa cieca
da un amore freddo – quello della
causa – e riportata alla vista da
qualcosa che vale più di un ideale,
il ritorno di una persona amata, o la scoperta
di una meraviglia che nessuno è in
grado di spiegare, e che, in pochi istanti,
giorni, gesti è in grado di cancellare
anni di intense lotte e sacrifici, fosse
anche solo per generarne altri a sua volta.
La circolarità del Destino e delle
stagioni pare tradursi in significati all’interno
come all’esterno della pellicola:
Zhang Ziyi, arbitro del cuore della “Foresta
dei pugnali volanti”, ebbe una parte
molto simile a quella di Jin nel già
citato “La tigre e il dragone”,
e, quasi una sorta di segno di avvenuta
maturazione, ora ricopre il ruolo che, nella
pellicola di Ang Lee, fu di Chow Yun Fat,
eroe tragico e inafferrabile segnato da
un Fato che, al contempo, pare aver già
superato grazie al cuore stesso che l’ha
condotto alla fine; tornando, invece, a
tuffarci nel film stesso, non possiamo non
notare come, nonostante la storia di Jin
e Mei duri “solo” tre giorni,
il loro tempo si dilati nella natura circostante
abbracciando le sue stesse mutazioni, dalla
luce e dai colori di rinascita del campo
di fiori, primo momento che vede la giovane
fuggiasca avvicinarsi a quello che, a tutti
gli effetti, è ancora il suo nemico,
alla foresta di bambù del loro scontro
con i soldati imperiali, imponente, umida,
avvolgente come l’estate più
soffocante, che stringe i due innamorati
in una cinta crudele e apparentemente senza
pietà alcuna, e che, al contempo,
pare rafforzare inequivocabilmente il loro
legame. Segue l’autunno della loro
separazione, il confronto ultimo prima della
battaglia finale che vedrà solo una
delle loro ragioni sopravvivere: ma saranno
poi davvero le loro ragioni, o due piccoli
esseri umani hanno il dovere e il cuore
per proseguire lungo la loro strada, lasciandosi
alle spalle quello che è, a tutti
gli effetti, più grande di loro?
A chiudere l’intera vicenda, dipingendo
la fine del cerchio, e, forse, inevitabilmente,
un nuovo inizio, l’inverno esploso
con il duello mortale sotto la neve, che
vede di fronte non solo due ideologie rinnovate,
ma due rivali, due sentimenti, due modi
di vivere e di morire. Le stagioni delle
piccole vite dei personaggi per qualcosa
di più grande, come una pellicola
che possiamo continuare a osservare, dilatando
il tempo e lo spazio come fossimo noi al
suo interno, e a nostra volta fossimo parte
di un cerchio che si chiude senza mai finire,
e che, come quella ruota che rivoluzionò
l’antichità, pare essere la
forza propulsiva dell’umanità
per continuare ad andare avanti, a raccontare.
Forse, e chissà se ci sarà
dato saperlo, la ruota non fa altro che
riportarci al principio: delle stagioni,
dei sentimenti, delle storie. Così
la canzone che chiude la pellicola, la stessa
che l’aveva aperta, con la danza di
Mei di fronte a Jin prima e a Leo poi. Danza
che apre le porte al sentimento di Jin,
e chiuderà il tormento covato nel
cuore come un sentimento puro da Leo, nel
cuore della foresta degli avversari dell’impero.
Il bene più grande sarà il
primo ad essere sacrificato sulla ruota,
ma probabilmente, per una maturazione che
conduca a una nuova stagione, possibilmente
senza guerre che ne condizionino le vite,
è un sacrificio necessario e inevitabile:
i Maya, primi teorizzatori del concetto
di ciclicità, del resto, predissero
anche – e con discreta esattezza in
termini di date – la fine del loro
stesso ciclo. Ancora non è dato a
nessuno sapere se quella fine abbia generato,
oppure no, una maturazione, ma di certo,
in questo momento, loro sanno qualcosa in
più. Mei, Jin e Leo, forse, nel loro
mondo costruito “della materia con
cui sono fatti i sogni”, guardano
il loro creatore Zhang Yimou pensando a
quanta passione ha messo nella sua ruota,
perché portasse lui – e noi
– un passo oltre. Sempre che oltre
possa essere un concetto che alla ruota
si adatti, certo, tutte queste stagioni,
sono un segno di maturazione. Non importa
se le comprenderemo subito, prima o poi
gireranno anche per noi.
Continua
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