La Trama
Nell’estate del 2001 Rosa Maria (L.
Silveira), professoressa di storia all’Università
di Lisbona, parte con la figlia Maria Joana
(F. De Almeida) per una lunga crociera attraverso
il Mediterraneo e il medio oriente con destinazione
Bombay, dove il marito, pilota di linea,
attende il suo arrivo per passare insieme
le vacanze estive.
Attraverso i luoghi più importanti,
per storia e cultura, del continente, da
Lisbona stessa a Pompei, da Atene a Istanbul,
fino alla Valle dei Re nel cuore dell’Egitto,
Rosa Maria conduce la figlia alla scoperta
degli angoli di mondo che lei stessa conosce,
per la maggior parte, solo grazie ai libri,
mettendo la bambina a confronto con storia
e mito – che la piccola Maria Joana
filtra attraverso la sua innocenza –
e, in un certo senso, crescendo a sua volta
mentre “insegna”.
Ad ogni porto, nel frattempo, nuove passeggere
prendono parte al viaggio, portando con
loro il retaggio delle loro culture e delle
loro vite, intrecciate con quella del capitano
della nave (J. Malkovich), con cui, nel
corso di lunghe cene, si diletteranno a
discutere e immaginare un mondo dove l’armonia,
simboleggiata dal linguaggio, possa essere
una realtà consolidata, e non solo
una lontana utopia intellettuale.
Ma, come in ogni sogno, proprio quando anche
Rosa Maria e sua figlia giungeranno al tavolo
di Delphine (C. Deneuve), Francesca (S.
Sandrelli), Helena (I. Papas) e del capitano,
la realtà tornerà tristemente
a chiedere il suo tributo.
Commento
Ho dovuto passare due volte al setaccio
quest’ambiziosa opera del novantacinquenne
maestro portoghese Oliveira per potermi
raccapezzare a proposito di un idea che,
con la prima visione, mi era sembrata forse
sbrigativa, o eccessiva, a proposito del
viaggio di Rosa Maria e sua figlia: quest’idea
riguarda, in sostanza, una sorta di sogno.
Nel cuore di questo sogno vive la riflessione
saggia e obiettiva di un uomo che ha potuto
vivere e osservare quasi un secolo di cambiamenti,
ingiustizie, grandi scoperte e infime bassezze,
forse il Secolo per eccellenza che, giunto
alla fine, pare chiedere una sorta di tributo,
che ognuno di noi può scegliere come
pagare, o affrontare, o vivere: nella pacata
e curiosa Rosa Maria, che nel corso di questo
suo viaggio percorre una nuova via nell’insegnamento
alla propria figlia, la splendida Maria
Joana (esemplare il dialogo all’interno
di Santa Sofia, dove la professoressa spiega
alla bambina il Medioevo come un periodo
“oscuro”, in cui sanguinose
lotte dividevano Cristiani e Musulmani,
per sentirsi chiedere subito dopo “e
noi in che Medioevo viviamo?”);
nel pescatore del porto di Marsiglia, padre
di una gentilezza che sa di tempi passati;
nel pope che la professoressa e la figlia
incontrano ad Atene, con i suoi insegnamenti
mai pedanti; nel capitano della nave, cortese
e malinconico, e nel suo amore incondizionato
per il mare; nella forte Delphine, imprenditrice
di successo, nella fragile Francesca, madre
mancata, e nella fiera Helena, pare trasparire
la grande voglia di vita e di risposte di
questi personaggi, così come l’amore
che lo stesso regista ha per loro.
Con un energia e un vigore apparentemente
insoliti per un uomo della sua età,
Oliveira delinea così le coordinate
di un viaggio non solo fisico attraverso
luoghi e Tempo, permeato dal senso di meraviglia
che un bambino di quasi un secolo prova
ancora di fronte allo scorrere della Storia,
di ciò che l’uomo ha saputo
costruire e che, nonostante tutto, è
sopravvissuto anche ai suoi momenti più
bui: il tutto come pervaso da una diffusa
sensazione di pace e fratellanza, sapientemente
mescolate con l’immaginazione e il
mito alla realtà, ben rappresentata
dalla gentilezza e familiarità di
ogni personaggio, partito come un “estraneo”
eppure da subito vicino e caro, con una
delicatezza a noi “moderni”
quasi sconosciuta.
Attorno, i già citati luoghi del
Mito, un Europa riscoperta e un Asia da
scoprire.
In mezzo – non solo al mare –
una nave che, in astratto, ricorda, come
al tavolo del capitano, una torre di Babele
destinata a restare, un oasi di pace e armonia
da cui lo spettatore – e forse, l’Uomo-
può partire per cambiare il mondo.
E questo è il Sogno.
Eppure, come per ogni Sogno che si rispetti,
difficile è il passaggio alla Realtà:
così ci ritroviamo compagni di viaggio
di una professoressa giovane e bella, eppure
fredda, rigida e quasi saccente, che finge
di non badare alle attenzioni ma se ne compiace
e non perde occasione, neppure agli occhi
della figlia, di sbandierare la sua pur
grande cultura, e di una bambina che, malgrado
bellezza e innocenza, altro non appare se
non una forzatura della sua età,
se non nella corsa finale alla ricerca della
bambola perduta; il pescatore diventa una
presenza triste, un uomo solo che parla
con i passanti per esorcizzare la mancanza
dei figli lontani; il pope un noioso scolastico
della religione; il capitano una sorta di
“nascosto” viveur che
per compensare la sua paura vive isolato
sulla sua nave celando il suo interesse
per il gentil sesso dietro il legame con
il mare e finti perbenismi intellettuali
(“Il mondo sarebbe certo migliore
se governato dalle donne”, ammette
di fronte all’amica Delphine); le
sue tre ospiti simbolo della decadenza delle
loro stesse culture – l’orgoglio
rigido e forzato della francese, il vittimismo
malcelato dell’italiana e la decisione
quasi “ultranazionalistica”
della greca –e, per concludere, un
monito di pace e fratellanza rivolto solo
a intellettuali, “illuminati”
e presunti tali (“Se tre donne COLTE
e forti come noi fossero alla guida di una
nuova torre di Babele, certo saprebbero
farla funzionare al meglio”, dice
Helena), che taglia fuori, o pare farlo,
e con una certa decisione, la “gente
comune”, e soprattutto le culture
non europee, minando già a priori
la (delicata) fratellanza che tanto viene
predicata.
Oliveira di colpo pare non essere più
un bambino, ma piuttosto uno di quei vecchi
aristocratici acquisiti che, come Byron
(mi perdoni, resta pur sempre un grande
personaggio e un ottimo poeta), pensano
di avere il compito di “guidare”
chi sta sotto di loro, e che basti a tutto
il loro lume, qualsiasi ostacolo, male o
incomprensione gli si ponga di fronte.
C’e speranza, del resto, che lo stesso
regista stia a sua volta combattendo questa
tendenza (si veda, a tal proposito, il finale),
ma non mi fido di un “pentimento”
giunto, forse, troppo tardi, e certamente
non nel modo migliore.
Alla tavola dei “grandi”
che, nel cuore e nella mente, celano la
soluzione ai problemi del mondo e dell’Uomo,
ma che ancora, e ancora, preferiscono dibattere
tra loro, autocompiacendosi di una presunta
“manifesta superiorità”,
piuttosto che cercare una nuova via per
cambiare le cose, si è aggiunto,
purtroppo, finito il Sogno, anche il decano
Oliveira.
In qualsiasi luogo e tempo, e armati di
qualsiasi proposito, di fronte anche alle
più grandi bellezze, l’aria
fritta ha sempre lo stesso sapore di muffa.
Continua
|
|
|