La Trama Bay City. Anni '70. L'integerrimo David Starsky (B. Stiller) e l'indisciplinato Ken Hutchinson detto "Hutch" (O. Wilson), poliziotti della sezione narcotici, vengono messi in coppia dall'ormai esasperato capitano Doby (F. Williamson), stanco dell'eccesso di zelo del primo e delle inadempienze del secondo. I detectives, in principio allergici l'uno ai metodi dell'altro, cominciano a "guadagnare punti" dal ritrovamento di un cadavere nelle acque della baia ricollegato a un grosso affare di droga che coinvolge l'insospettabile Reese (V. Vaughn), ricco uomo d'affari a capo, fra le numerose attività, di un progetto di recupero per ex carcerati volto a mascherare l'immissione sul mercato di un nuovo tipo di cocaina "invisibile" ai recettori olfattivi dei cani e ai controlli di routine della polizia.
L'indagine porta i due poliziotti dalla tenuta dello stesso Reese al campo d'allenamento delle "gattine di Bay City", dal bar per motociclisti gestito dall'inconsueto Big Earl alla prigione, passando attraverso sicari coreani, attentati esplosivi, sfide di ballo e ogni possibile travestimento per venire a capo di una matassa sempre più ingarbugliata: inutile dire che i due faranno di tutto per complicare le cose, complici la svogliatezza di Hutch e la quasi indescrivibile goffaggine di Starsky, ossessionato dall'ingombrante ricordo della madre, leggenda fra i poliziotti della città, e bersagliato dagli sfottò del collega Manetti (C. Penn).
Andando contro anche agli stessi ordini del capitano Doby, nonostante i ripetuti fallimenti, tenuti insieme dalle "gattine" Stacy (C. Electra) e Holly (A. Smart) e dal piccolo Willis, e sempre aiutati dall'informatore Huggy Bear (Snoop Dogg), alla fine i due riusciranno a smascherare Reese e il suo traffico, giungendo a un confronto fra la mitica Gran Torino di Starsky e lo yacht dove lo "spacciatore" e la sua amante e complice Kitty (J. Lewis) si sono rifugiati per la fuga.
Ma neppure allora le sorprese saranno finite, e quando tutto parrà perduto - soprattutto una certa macchina - dal passato tornerà qualcuno in grado di restituire a Starsky quello che, fino a poco prima, pareva unico e insostituibile.
Commento Personalmente ricordo ancora quando, alle elementari, stavo a casa malato e, come un filotto di biliardo, passavoin rassegna tutti i telefilm del mattino fino all'ora di pranzo, senza staccarmi dalla tv.
E' passato parecchio tempo, da allora, e, al pari dei cartoni animati, i protagonisti di quelle mitiche serie sono rimasti nel mio cuore come i vari Daitarn III e Jeeg Robot: fra questi, ricordo con affetto - e una certa "nebulosità", lo ammetto - i due detective Starsky e Hutch, già allora (eravamo nella seconda metà degli anni '80) abbastanza "demodè" da risultare "giusti": ricordo che adoravo il giubbotto di pelle di Starsky, anche se confesso di aver sempre preferito Hutch, forse perché io non ero biondo, o forse perché mi piacevano i suoi pantaloni a zampa o lo stile più "estremo", o chissà.
Quando ho saputo dell'ennesimo remake ho avuto timore di un flop terrificante o, peggio, di un fenomeno legato solamente alla moda crescente di revival sviluppatasi soprattutto negli ambienti più "giovani" negli ultimi due/tre anni: fortunatamente a Todd Phillips, un regista che non ho mai apprezzato (Road Trip parla da solo), si sono affiancati Ben Stiller e Owen Wilson, cui sono molto affezionato, soprattutto dopo lo straordinario "I Tenenbaum", una delle sorprese migliori della stagione cinematografica 2001.
Giunta l'uscita nelle sale, la scorsa estate, approcciai la pellicola con lo spirito di chi, per una sera, "butta" il prezzo del biglietto e non ha troppe speranze di uscire soddisfatto: al contrario, però, come forse sempre accade quando le aspettative sono basse, devo dire di essere rimasto contento del prodotto finale: certo, i remake sono come le cover musicali, simbolo, più che di ricerca, omaggio e sperimentazione, di una sorta di "crisi creativa" di chi (anche se, per quanto riguarda Phillips, dovremmo essere solo all'inizio) pare non avere nuove idee per andare avanti, e così, si guarda irrimediabilmente indietro.
Eppure il prodotto si fa apprezzare per quello che è, un omaggio, appunto, a uno dei tanti simboli di un decennio che, ancora oggi, sfama una quantità enorme di artisti - o presunti tali - che mangiano sui suoi miti; certo non perfetto ma divertente e senza pretese, in ogni caso, a suo modo apprezzabile.
Innanzitutto ho trovato azzeccatissima l'idea di un "prequel" della serie, scelta necessaria per guadagnarsi una certa libertà rispetto ai modelli, anche pensando all'elemento parodistico subordinato ai due protagonisti, perfetti nei loro ruoli (nonostante la simpatia di Ben Stiller, anche questa volta ho preferito "il biondo"), e alle numerose citazioni cinematografiche (Easy Rider, Tutti gli uomini del presidente, Taxy Driver, La febbre del sabato sera sono solo alcune).
La struttura, a volte un po' troppo dipendente dalle singole gag dei detectives, resta comunque a galla grazie a un intreccio semplice e a un buon ritmo, il tutto condito, appunto, dalle trovate di Stiller e Wilson, da un buon antagonista (Vaughn, coprotagonista, con Stiller, anche del successivo Dodgeball, è sufficientemente banale per essere un cattivo "da serie tv") e da attori "consumati" come Juliette Lewis e Chris Penn prestatisi in parti da comprimari. Sicuramente, inoltre, quando la situazione "langue", l'ambientazione anni '70 e la caccia alla citazione mantengono viva l'attenzione dello spettatore, così come il camaleontico Huggy Bear (bravo Snoop Dogg) - che pare essere un elemento esterno alla trama, un "boss" non solo nel suo quartiere, e mai solo un informatore - compare nel posto giusto e al momento giusto per sbrogliare la matassa a protagonisti, regista e audience.
Menzione d'onore per la sequenza del sicario coreano (straordinario il bambino - o "nano indemoniato" come lo definisce Hutch - lanciatore di coltelli), dei "draghi" di Big Earl, delle salviette per le mani e la prolungata gag "da cocaina" di Stiller, assolutamente perfetto nel ruolo di "fatto", che mi ha riportato alla mente (anche se, ovviamente, prendendo le dovute distanze) il grandissimo Matt Dillon di "Drugstore Cowboy".
Ma meritano una citazione anche l'episodio del cavallo e il tormentone del "FALLO!", che, credo, sarà stato ripetuto allo svenimento dalla quasi totalità degli spettatori di questo film.
Certo, i punti deboli non mancano (il bacio a tre fra Hutch e le due micette, la "scomparsa", nel corso della storia, di personaggi come Manetti, e, sul finale, di Kitty e del braccio destro di Reeves Kevin), ma tutto sommato, considerando quelli che sono i presupposti di una pellicola come questa, il bersaglio risulta pienamente centrato: si ride, non si hanno pretese, e anche quando la malinconia o il buonismo paiono spuntare (l'amicizia ricostruita in ospedale, l'apparizione dei due "ospiti" nell'ultima scena) subito la premiata coppia Stiller e Wilson vira clamorosamente verso il demenziale.
Se volete passare un ora e mezza "staccando", o buttando qualche risata gratuita (ci vogliono sempre, anche quando si pensa di essere "intenditori" di cinema), meglio un prodotto come questo che cento "Natale in India" o "American Pie" di sorta.
Continua
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