La Tecnica
“Eternal sunshine of the spotless
mind”, o, se preferite l’insulso
titolo italiano “Se mi lasci ti
cancello”, è sicuramente
una delle sorprese migliori della passata
stagione cinematografica, un opera innovativa
e intelligente che, per una volta, non si
presenta come la proposta “cult”
– o, per meglio dirla, snob –
del momento: passate, infatti, le pretenziose
acrobazie di Spike Jonze (“Essere
John Malkovich”, “Il ladro di
orchidee”), il vuoto simil-intellettuale
di Sofia Coppola (“Lost in translation”),
il buonismo mascherato di Jeunnet (“Il
favoloso mondo di Amelie”) e il piede
dimenticato sull’acceleratore di Inarritu
(“21 grammi”), Gondry porta
sugli schermi una storia ben congegnata,
diretta e recitata ottimamente, supportata
da effetti mai invasivi, e, suppur non immediata,
potenzialmente in grado di raggiungere qualsiasi
fascia di pubblico disposto ad ascoltare.
Plauso doveroso, quindi, al talentuoso regista,
che personalmente spero di rivedere presto
sugli schermi, possibilmente non invischiato
come i suoi sopra citati colleghi in ragnatele
d’alto bordo, e al bravissimo sceneggiatore
Kaufman, che aveva già dato buona
prova con, appunto, “Essere John
Malkovich”, che in questo caso
raggiunge quello che, a tutt’oggi,
è certamente il suo apice. Giustamente
premiato con l’Oscar, Kaufman resta,
infatti, uno dei cardini per l’ottima
riuscita di questo prodotto, filtrato, doveroso
dirlo, da una discreta fotografia (ho apprezzato
moltissimo i perfetti abbinamenti fra i
capelli di Kate Winslet e i suoi vestiti,
merito anche della costumista Melissa Toth,
e le luci) ed effetti speciali mai eccessivi,
contenuti dal punto di vista “computerizzato”
(mai eccedere, vero cari Ridley e Peter?)
e realizzati nella quasi totalità
grazie a lenti speciali, tecniche sperimentali
di ripresa, specchi e artifici molto più
“artigianali”.
Efficace il montaggio, soprattutto se relazionato
alle scene girate nei ricordi di Joel, e
legate alle sparizioni delle persone all’interno
di essi (bellissimo il “salto”
del viso di Wood in libreria, nel momento
in cui Joel scopre il “furto”
di Patrick).
Plauso anche al cast, soprattutto ai bravissimi
protagonisti: tralasciando il piatto Wood,
che conferma – come del resto molti
dei suoi colleghi della trilogia del “Signore
degli anelli” – di non essere
certo un buon attore, appaiono discreti
Mark Ruffalo (migliore, comunque, come protagonista
di “In the cut”), Tom Wilkinson
e Kirsten Dunst (che, a mio parere, si è
comunque fermata dopo la sua splendida prima
prova di “Intervista col vampiro”)e
chiudono il cast in bellezza la migliore
Kate Winslet di sempre e il grande e ovviamente
dimenticato dall’Academy Jim Carrey,
che una volta ancora meriterebbe di essere
riconosciuto quale uno dei volti più
convincenti fra gli attori statunitensi
della sua generazione, e che mi piacerebbe
vedere al lavoro con qualche “mostro
sacro”, possibilmente in un film
drammatico (chi non l’avesse visto,
corra a recuperare la sua incredibile performance
in “Man on the moon” di Milos
Forman).
Come di consueto, segnalo i tre momenti
“cult” della pellicola,
che, questa volta, ho davvero penato per
trovare, considerato che la frammentaria
struttura corrisponde, in realtà,
quasi a un'unica sequenza legata alla mente
di Joel e ai suoi ricordi: il primo, per
climax, effetti e intensità, certo
non può non essere identificato con
la sequenza dell’ultimo ricordo che
Joel ha di Clem, il momento della loro rottura.
Dal dialogo all’uscita di scena della
ragazza, con le sue continue “sparizioni”
all’interno dell’appartamento,
fino alla sequenza di Saratoga Avenue, percorsa
avanti e indietro, come in un labirinto
di specchi, da Joel, con macchine che piovono
dal cielo, la consapevolezza che tutto stia
crollando, e Clem che cammina su una gamba
sola, è di un efficacia e originalità
rare, e nonostante la “spettacolarità”
delle immagini, coinvolge soprattutto per
il suo spessore emotivo. Segue certamente
la bellissima sequenza della fuga nei ricordi
di Joel bambino, che culmina nell’uccisione
del piccolo animale e nelle voci fuori campo
di Carrey e della Winslet che “doppiano”
le loro controparti infantili, significativa
a livello emozionale quanto figurativo,
con un Jim Carrey che sfodera di nuovo il
suo lato “istrionico” (bellissimo
il passaggio del bambino che gli torce il
braccio, o del bagno nel lavandino) e il
mondo “in grande” visto attraverso
la solitudine e le sensazioni che solo i
bambini provano e che, guarda caso, da grandi
tendiamo a dimenticare. Chiuderei segnalando
l’ultimo dialogo prima della cancellazione
fra Joel e Clem, non tanto per i meriti
tecnici della scena – pur molto efficace
– quanto per i dialoghi, così
diretti e vividi da far quasi pensare all’intera
storia della pellicola come a un ricordo
(di nuovo, i casi si moltiplicano) dello
stesso sceneggiatore Kaufman.
Buoni il formato audio e video, così
come l’edizione italiana targata Eagle:
per prima cosa, innanzitutto, è stato
quasi accantonato il titolo “tradotto”
(fortunatamente), mentre confezione e apparato
di extra (come vedremo ora) sono davvero
stati molto ben curati. Dopo “Hero”,
un'altra ottima confezione del distributore
milanese.
Un ultimo appunto: ascoltate con attenzione
anche la splendida canzone a tema legata
al titolo del film, cantata, per l’occasione,
dal sempre grande Beck.
Contenuti Extra
Terminata la visione di un film notevole
come questo, sono stato felice, dopo i “fasti”
di “Spider Man 2” e “Gli
incredibili”di trovare una sezione
extra degna di questo nome anche per una
pellicola che, certo, non figura fra i blockbuster
della passata stagione o può essere
annoverata fra i kolossal che, quasi obbligatoriamente,
presentano sempre sezioni di approfondimento
dettagliatissime. Archiviato il primo disco,
contenente “soltanto” il film
stesso, l’opzione per il commento
audio di Gondry e Kaufman e i credits, con
il secondo dvd si apre una sezione decisamente
interessante e ben curata: si comincia con
“A look inside Eternal sunshine
of the spotless mind”, un documentario
che, attraverso interviste ai produttori,
ad attori e regista, ripercorre tutte le
tappe della realizzazione della pellicola,
attraverso interessanti backstage e volto
principalmente alla promozione, in quanto
realizzato prima dell’uscita nei cinema
del film. Giunge poi il turno del vero e
proprio backstage, che, oltre a mostrarci
i dietro le quinte di numerose scene, presenta
i momenti migliori nella rivisitazione dei
climax degli “shot” da
parte di Carrey e Gondry, in particolare
divertiti nel raccontare il giorno peggiore
delle riprese, quando Kate Winslet, dopo
un numero di prove eccessivo, svenne per
il calore nel lavandino/vasca dei ricordi
d’infanzia di Joel, e Carrey s’infuriò
con il regista, deciso a continuare ugualmente
le riprese.
Quella stessa notte, dopo aver fatto pace
e terminato le riprese, i due girarono un
corto con Carrey in pigiama a bordo di un
letto a motore che girava all’impazzata
attorno a un distributore di benzina (!!!).
Si passa dunque al videoclip, girato sulla
base della “Theme song”
cantata da Beck, che filtra le parole della
stessa canzone attraverso la sovrapposizione
del cantato a spezzoni della pellicola (interessanti
le soluzioni adottate soprattutto per gli
oggetti). Subito dopo, si presenta la più
capiente sezione di scene tagliate ed estese
che mi sia mai capitata, con ben undici
“shot” inseriti, di cui
cito soltanto i tre che più mi hanno
colpito: la prima volta di Joel e Clem,
brevissima eppure dal sapore intenso e vissuto,
Joel e Naomi nel parco (il personaggio della
ragazza precedente di Joel è poi
stato tagliato dal “final cut”,
ma il dialogo tra loro in questa occasione
risulta estremamente vero) e il nastro a
proposito dell’aborto di Mary (anche
questo giustamente tagliato, forse troppo
eccessivo, eppure interessante se analizzato
dal punto di vista ultimo che il film stesso
si prefigge a proposito della cancellazione
dei ricordi).
Il punto successivo è costituito
dall’analisi della scena di Saratoga
Avenue in tutti i suoi passaggi di realizzazione,
dalla recitazione, al backstage, all’uso
degli effetti, dal rapporto fra i produttori
e Gondry fino alla realizzazione in loco
della scena stessa. In particolare, molto
interessante il discorso sugli effetti speciali
e l’utilizzo nel modo meno invasivo
e più artigianale possibile della
computer graphic. “A conversation
with Kate and Michel” è
un interessante estratto post-produzione
di un intervista rilasciata dalla protagonista
e dal regista a seguito delle riprese, interessante
soprattutto per gli aneddoti raccontati,
utili per capire i tempi di realizzazione
cinematografici (il primo contatto fra i
due per la realizzazione di questo film
avvenne a fine 2001!!!), il rapporto –
anche linguistico – fra il regista
e la troupe (divertente il racconto dello
stuzzicadenti, legato alla pronuncia francese
che influenza l’inglese del regista),
e, soprattutto, la direzione degli operatori
come fossero attori, attraverso l’utilizzo
di un microfono che ha permesso agli attori
di girare in maggiore libertà, interpretare
la scena in più modi differenti,
e continuare a cambiare inquadrature e approccio
a seconda dell’ispirazione dettata
dal momento. Un processo che lo stesso regista
definisce estremamente interessante quanto
rischioso, se fatto con una troupe con cui
non si ha un buon feeling.
Chiudono la sezione “The misadventures
of super dog”, un interessante
cortometraggio a cartoni animati breve quanto
intenso, il fittizio spot della Lacuna Inc.,
i trailer originali e il documentario “Nella
mente del regista”, realizzato
nello stesso stile dei precedenti, e questa
volta interamente concentrato sul metodo
di lavoro di Gondry, il suo approccio a
questo film e le opinioni di produttori,
cast e troupe a proposito dello stesso regista,
più di una volta protagonista rispetto
alle altre persone coinvolte nella realizzazione
della pellicola che, a detta dei produttori
Steve Golin e Anthony Bregman, pendevano
spesso dalle sue labbra, quasi ansiosi di
essere sorpresi di nuovo.
Commento Finale
E’ difficile dire quali, fra i film
prodotti negli ultimi anni, saranno ricordati
o faranno epoca nei prossimi decenni, divenendo
miti per le generazioni di cinefili e spettatori
futuri come per noi sono stati gli “Arancia
meccanica” o i “Guerre
stellari”, per citare due esempi
opposti, eppure ugualmente efficaci. I più
pessimisti certamente diranno che niente
di questa nostra artisticamente poco viva
epoca sarà ricordato, ma forse, queste
persone hanno abbracciato il credo di chi
vede la felicità nella luce calda
e avvolgente della “spotless mind”
che si cita nel titolo di questo film.
E’ possibile che tutti loro siano
stati lasciati da qualcuno, e per evitare
il dolore abbiano deciso di dimenticare
anche tutto il bello nascosto in ogni cosa,
anche la peggiore che possa esistere, o
quella in grado di farci più male.
Io resto con Gondry, e penso che tutte le
sofferenze possibili non possano essere
barattate con la cancellazione di un bel
ricordo, e penso anche che, fortunatamente,
la gioia del cinema, come dell’arte,
sia quella di poter rivivere i momenti più
intensi ogni qual volta si voglia, qualsiasi
gioia, o sofferenza, possano essi arrecarci.
E se certo ora non posso pretendere, o permettermi,
di accostare questo film ad altri illustri
miti del passato, sono convinto che, con
il passare del tempo, ci si ricorderà
della storia di Clem e Joel come una delle
più significative di questo nostro
nuovo millennio.
Un opera (quasi) senza “Lacune”.
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