La Tecnica
Si può dire che Kim Ki-Duk sia entrato
in ogni atomo di questo suo lavoro, essendo
autore, regista, montatore della pellicola,
ed anche interprete (peraltro molto buona
la sua interpretazione dell’allievo
maturo dell’inverno): trasparente,
come le immagini, è la cura che il
cineasta ha posto nel suo lavoro fin qui
più maturo, dall’approccio
dell’interpretazione, asciutta ma
estremamente espressiva, se si pensa alla
scarsezza di dialoghi, fino alla perfetta
scelta della location, che grande merito
ha nella resa visiva eccezionale dell’opera.
Buona la varietà di inquadrature,
dalle panoramiche sul lago (che paiono splendide
foto, o quadri) ai primi piani, anche se,
a mio parere, dal punto di vista prettamente
estetico il meglio si ha nei tre momenti
emotivamente più coinvolgenti nel
film: il primo “contatto”
fra il ragazzo e la sua innamorata, che,
come già citato, ha riportato al
mio cuore le immagini “Fuoriorariesche”
dell’Atalante, il momento della conclusione
del sutra di redenzione, nella notte autunnale,
e la scalata finale, con la preghiera dalla
cima del monte, metafora quanto più
chiara si possa.
Ottimo anche il lavoro svolto per quanto
riguarda i passaggi sul lago, e “acquatici”
in generale; montaggio a tratti “a
scatti”, come spesso capita per
la scuola orientale, altro elemento che
ancora non si può dire assimilato
dalla nostra cultura di “fluidità”
della pellicola.
Buona la direzione degli attori, soprattutto
rispetto alla ragazza e all’allievo
bambino: la prima ha il grande merito –
forse più facile che per noi occidentali
– di mostrare un “partecipe
distacco” di grande efficacia (a proposito
della storia d’amore, merita una citazione
anche la splendida inquadratura dei piedi
che si accarezzano dopo il sesso), e il
secondo, sicuramente coraggioso per la sua
età, che recità legato a una
pietra, maneggia serpenti e nuota annaspando
con ottima duttilità, entrando molto
bene nella parte assegnata all’infanzia
dal regista con le risatine crudeli e il
pianto disperato.
Eccellenti, infine, fotografia (specialmente
in autunno e inverno) e sonoro, sicuramente
difficile da rendere in una location come
quella scelta. Ridondante, soprattutto nel
finale, la colonna sonora.
Contenuti Extra
Come di consueto, per quanto riguarda i
film decisamente non “di cassetta”,
la sezione dedicata ai contenuti speciali
è sempre piuttosto scarna, in questo
caso limitata ai trailers (di 15’’,
30’’ e 1’50’), alla
galleria fotografica, note biografiche e
di produzione e a un “Making of”
sicuramente scarsino, per quanto potesse
essere interessante vedere una troupe intera
al lavoro in una location nella pellicola
quasi completamente deserta, o alle prese
con le riprese notturne sul lago ghiacciato
dell’inverno (pensate che l’interno
“documentario” dura intorno
agli otto/nove minuti!!!).
Decisamente bocciata questa sezione del
dvd.
Commento Finale
Trovo che si sia appena cominciato, nonostante
tutti i grandi del passato (Kurosawa, Mizoguchi,
Ozu, Oshima), a scoprire la grandezza del
cinema orientale, la sua bellezza e la sensibilità
che, pur distante dalla nostra cultura,
esprime: certamente, con questa pellicola,
Kim Ki-Duk ci consegna un lavoro che, tra
qualche anno, potrebbe avere un ruolo di
primo piano in quelli che saranno i “nuovi
classici” del sol levante (con
lui, comunque, da non dimenticare i grandissimi
Kitano e Wong Kar Wai) e, già da
ora, conquista, colpisce e meraviglia come
un Dersu Uzala del nuovo millennio: filtrato,
a volte eccessivo, senz’altro più
crudele e molto meno commovente ma, come
dicevo, straordinariamente bello. E a volte
la bellezza non ha bisogno di altre spiegazioni.
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