La Tecnica
Il lavoro di Forster, pur non attestandosi
a livelli insuperabili, è comunque
solido e ben realizzato, supportato da una
confezione ottima – soprattutto per
quanto riguarda fotografia e scenografie
– e da un cast altrettanto efficace:
bravissimi i giovani interpreti, in particolare
Peter/Highmore, veri trascinatori della
pellicola, ottimo – pur se sotto le
righe – Johnny Depp, bravissima Julie
Christie, brava, anche se non agli stessi
livelli di “Se mi lasci ti cancello”,
Kate Winslet. Si ritaglia una citazione,
considerando una parte di contorno giocata
principalmente sull’innegabile fascino,
il vecchio leone Dustin Hoffman. Funzionale
la colonna sonora, che ha fruttato alla
pellicola l’unico Oscar raccolto sulle
sette nominations ricevute: un peccato,
forse avrebbe meritato qualcosa in più
(soprattutto considerando scempi del passato
recente come i sette premi a “Shakespeare
in love”), ma che, se confrontata
con i grandi vincitori di quest’anno
– “Million dollar baby”
e “The aviator” per i
film, Jamie Foxx e Kate Blanchette per le
interpretazioni – non poteva effettivamente
avanzare alcuna “pretesa”.
Tornando alla pellicola in specifico, segnalo
come di consueto i tre momenti migliori
della mia visione: il primo è certamente
dato, soprattutto per l’utilizzo ottimo
degli effetti e il buon gioco di montaggio,
dalle avventure create per i fratelli Davies
da Barrie, che spaziano dal West ai vascelli
pirata, e che, come in una danza, alternano
le immagini di quella che, per i bambini
e lo scrittore è la realtà
e quello che, invece, è il mondo
filtrato dai loro occhi. Bellissima l’idea,
nel corso della sequenza dei pirati, di
bagnare i protagonisti nelle parti oniriche
e riproporli “all’asciutto”
in quella che è la “reale”
ambientazione del gioco intrapreso. La seconda
scelta cade su due singoli momenti che menziono
“a pari merito” data
l’importanza che assumono nel corso
dello svilupparsi della storia, pur essendo,
a tutti gli effetti, solo “frammenti”:
il dialogo tra James e George, il più
grande dei Davies – toccante e sentito,
chiuso dalla bellissima frase di Depp/Barrie
“Incredibile… In un attimo è
scomparso il bambino, ed ho un uomo davanti
agli occhi” – e il “volo”
in soggettiva, realizzato con la tecnica
del motion control, che parte dal Peter
Pan che viaggia verso l’Isola che
non c’è, sul palcoscenico e,
dopo una vertiginosa panoramica del teatro,
si chiude proprio su Peter Davies, principale
ispiratore di Barrie per il suo protagonista.
Cito come ultimo, e più intenso momento,
la coinvolgente sequenza della rappresentazione
in casa Davies e sul viaggio di Sylvia verso
l’Isola che non c’è.
Sfido chiunque – “uomini
veri” compresi – a non sentire
un moto di commozione nel vedere come e
quanto, nonostante tutto, il potere del
sogno si affermi, in ogni momento, sulla
realtà della vita. Se Forster certo
non è un maestro, ha comunque ben
raccolto, e raccontato, parte della magia
che Vigo e Fellini hanno lasciato a quelli
che sono i loro eredi più evidenti,
Kusturica e Burton: “La vita è
un miracolo” e “Big Fish”,
le ultime fatiche dei due registi appena
citati, sono la prova che, di fronte all’immaginazione,
ogni barriera viene abbattuta, e ognuno
di noi si può sentire libero di perdersi,
commuoversi e ritrovarsi senza vergogna,
e senza bisogno di giustificare altro. Del
resto, Barrie raccontava proprio questo.
Contenuti Extra
L’edizione italiana di Neverland resta
fedele a quella statunitense, presentando
un interessante, pur se breve, apparato
di contenuti speciali, suddiviso in cinque
sezioni che toccano i diversi aspetti della
produzione della pellicola: si comincia
con “La magia di Neverland”,
breve documentario (circa quindici minuti)
dove, partendo da numerosi spezzoni d’interviste
al regista, al cast e alla crew di lavorazione,
vengono analizzate l’opera di Barrie,
la storia cinematografica di Peter Pan (dal
film muto prodotto nel 1924 fino al lungometraggio
disneyano del 1953), il concetto stesso
dell’Isola che non c’è,
le figure di Depp e della Winslet, accolti
benissimo e altrettanto affettuosamente
ricordati dai giovanissimi attori che hanno
dato volto ai Davies, e a quella di Marc
Forster, regista, a detta degli attori,
estremamente comprensivo, riflessivo e rispettoso
del cast come – pare – pochi
nell’intero panorama mondiale; si
prosegue con “Creare l’isola
che non c’è”, interessante
pur se breve estratto legato all’utilizzo
degli effetti speciali, tutti filtrati,
come dichiarato dai responsabili, attraverso
l’idea di “far scivolare”
il pubblico dalla realtà alla finzione
senza creare traumi o stacchi troppo secchi.
Molto interessante, in questa sezione, l’analisi
della scena del “volo” nel teatro
realizzata attraverso una complessa procedura
in motion control che ha visto l’utilizzo
di riprese reali e modificate al computer
mescolate per creare il particolare effetto
generato nel montaggio conclusivo. E’
dunque momento de “Il tappeto rosso”,
un breve estratto delle interviste raccolte
alla presentazione del film al Festival
di Venezia e alle prime di Los Angeles e
New york, una sezione dedicata a tre scene
eliminate dal final cut (decisamente superflue
e giustamente tagliate) e la divertente
carrellata dei fuori scena, a proposito
dei quali cito lo stesso Depp (che giustamente
Hoffman descrive così: “Difficile
credere che abbia più di vent’anni.”),
il siparietto creato dal cane Porthos nel
parco e la spassosa scena della cena a casa
Barrie con i piccoli Davies alleggeriti
dalla tensione grazie a una speciale “macchina
simulatrice di peti” introdotta sul
set da Depp con il beneplacito di Forster.
Chiudo con un plauso al formato e alla resa
audio e video, decisamente ottime pur se
applicate a una pellicola certo non “spettacolare”,
e all’edizione, semplice ma ugualmente
ben curata.
Commento Finale
Peter Pan, con un pizzico di polvere e un
pensiero felice, può volare fino
all’Isola che non c’è,
dove i Bambini Perduti vivono per sempre,
i pirati sono inseguiti dal ticchettio di
un orologio ingoiato da un coccodrillo e
gli indiani e le fate sono preservati dalle
loro sfortune su questa Terra.
E’ solo un libro, potranno dire alcuni,
il sogno di un uomo mai cresciuto.
Che parola mortificante e triste è
“solo”, direbbe Barrie.
“Solo” non esiste. Non
siamo “soli” neppure
di fronte alla morte.
Perché chi ci lascia vive al nostro
fianco, attraverso le pagine che noi stessi
scriviamo, i sogni che viviamo, il mondo
che pensiamo quando è l’amore,
per l’arte o per qualcuno, a guidarci.
E non importa se dovremo versare qualche
lacrima, perché la capacità
di piangere, come di ridere, nasce come
un istinto primordiale e irresistibile dal
nostro essere bambini: e, Barrie lo insegna,
alla prima risata di un bambino nasce una
nuova fata.
Barrie, e Peter Pan, vivono (e volano) per
sempre.
Facciamolo anche noi, per una volta. Non
è difficile. E’ “solo”
un volo. Torniamo a “meravigliarci”.
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