La Tecnica
“The Howling” è un film
a basso costo, uno dei cosiddetti “b-movies”,
parlando a livello di budget e produzione:
eppure, se c’è un errore in
cui si può incorrere approcciando
questa pellicola, è proprio quello
di considerarla un “sottoprodotto”.
Dante, un buon professionista dotato di
una discreta tecnica, qui in una delle sue
primissime prove, confeziona, infatti, una
delle sue opere migliori per ritmo, intensità
ed efficacia visiva: tolti i significati,
di cui abbiamo già ampiamente parlato,
restano comunque molti gli spunti di riflessione,
anche riguardo la tecnica realizzativa.
“Di necessità virtù”,
sembra essere, infatti, stato il motto dell’intera
troupe al lavoro su questa pellicola: con
poco tempo e poco denaro a disposizione,
lo stesso regista, coadiuvato dall’ottimo
Hora – decisamente interessante il
suo lavoro alla fotografia, soprattutto
per quanto riguarda gli esterni notturni,
sia in città che sulle colline della
colonia -, ottimizza ogni aspetto, e probabilmente
i suoi stessi mezzi, considerando l’età
che aveva quando girò questo film
e le conseguenti “acerbità”
nel suo operato.
Accanto a un ritmo sostenuto e a una discreta
capacità con la macchina da presa,
infatti, troviamo, nel corso dell’ora
e mezza di durata del film, numerose piccole,
validissime inquadrature “artistiche”
– su tutte, il gioco con lo specchio
nella capanna durante il “sopraluogo”
di Terry e la scena nella cabina del peep
show, precedente alla presunta morte di
Eddie -. Buone anche le sequenze oniriche,
rese più angoscianti da un montaggio
serrato (attenzione alla visione del film
porno del peep show rivisto da Karen nell’obiettivo
di una delle macchine da presa dello studio
televisivo, molto hitchcockiana), e, quando
Dante sembra zoppicare, giunge appunto in
aiuto Hora, con un uso delle luci e una
fotografia certo un po’ datate (quanto
sono riconoscibili gli anni ’80!)
ma ugualmente efficaci. Interessante, soprattutto
se si pensa al fatto che fu inserita per
mancanza di fondi, la scena di chiusura
della notte di Bill e Marsha, un animazione
gotica e brevissima che incuriosisce, nonostante,
a tutti gli effetti, sia completamente estranea
al resto della pellicola. Buona la direzione
degli attori, tutti in parte: spiccano la
brava Wallace-Stone – che, a quanto
pare, sul set si trovò in difficoltà
perché spesso emotivamente troppo
coinvolta nelle riprese – e l’affascinante
Elizabeth Brooks, che, come lo stesso Dante
dichiara, Addams avrebbe fatto carte false
per avere come Morticia, ma che –
e questo sottolinea la modernità
non solo contenutistica del film –
ricorda più le dark lady odierne,
e rimanda, a tratti, alla versione “alessandresca”
di Angelina Jolie. Azzeccata la colonna
sonora di Pino Donaggio, che, sempre stando
ai racconti di Dante, non parlando inglese
comunicò con la troupe attraverso
un segretario di produzione che parlava
spagnolo (!!!). Ottima la scenografia di
Robert Burns, già al lavoro su un'altra
pietra miliare del genere, “Non aprite
quella porta” di Tobe Hooper. La sua
mano, soprattutto negli interni dell’appartamento
di Eddie in città e nella capanna
di Marsha nella colonia, è evidente
quanto insano deve essere il gusto di questo
artista, una sorta di Giger in versione
“country”.
In ultimo, è doveroso spendere qualche
riga per la vera perla tecnica di questa
pellicola: lo straordinario lavoro al trucco
per la trasformazione dei licantropi di
Rob Bottin, che, anticipando la magia del
“Lupo mannaro americano a Londra”,
per la prima volta mostra “in diretta”,
grazie a un complesso procedimento che coinvolge
il regista e gli operatori con cambiamenti
di velocità di ripresa e comprende
l’utilizzo di calchi, lattice, preservativi
e assistenti che “gonfiano”
a bocca gli attori, una delle trasformazioni
più impressionanti del cinema horror
di tutti i tempi: quando Eddie, di fronte
alla terrorizzata Karen, muta in lupo, non
si può non rimanere ammirati di fronte
a quella che, in un epoca priva di effetti
speciali miracolosi e computer grafica,
è, a tutti gli effetti, una vera
e propria opera d’arte. Con questo
lavoro, Rob Bottin si è di certo
guadagnato uno spazio fra i migliori esperti
del settore che il cinema abbia mai avuto
(ricordo, a tal proposito, un altro grandissimo
che, solo qualche anno prima, aveva compiuto
miracoli con Alien: l’italiano Carlo
Rambaldi).
Chiudo con un plauso anche all’edizione,
ottima nella resa video, nella scelta della
copertina (la favorita di Joe Dante, che,
per il pubblico, sostiene essere meglio
non sapere, almeno in partenza, che si tratta
di un film sui licantropi) e nel doppio
dvd corredato di un notevole apparato di
extra.
Unico neo: la traccia audio, presentata
in 5.1 solo in inglese e tedesco, e che
nel mono italiano risulta davvero scarsa.
Consiglio, in ogni caso, la visione in lingua
originale, anche perché, già
dai sottotitoli, si nota quanto nella traccia
audio sia stata modificata (spesso stravolgendo
significati di intere frasi) la versione
italiana.
Contenuti Extra
Coerentemente rispetto la qualità
dell’edizione, viene presentata una
sezione extra esaustiva e completa, considerando
che il prodotto in questione è, e
resterà, probabilmente, un film “di
culto” solo per pochi appassionati:
si comincia con una sequenza di scene eliminate,
purtroppo non commentate ne divise tra loro,
che, più che per i contenuti delle
scene stesse, pare assumere importanza per
l’enorme differenza che passa dalla
pellicola non restaurata che qui compare
in tutto il suo “splendore”
e la versione “digitalizzata”
del dvd; la sezione dedicata agli outtakes
è strutturata allo stesso modo, e,
tra un errore e l’altro, trova i punti
più alti nel “dito medio”
alzato dal manichino del braccio mozzato
al licantropo e nello straordinario “Mannaggia
l’America!” di Picardo proprio
al clou della scena girata nella cabina
del peep show; troviamo poi una galleria
fotografica e i consueti trailer (solo l’originale)
e teaser, prima di arrivare al pezzo forte
del disco dei contenuti extra: il documentario
“Benvenuti nella terra dei licantropi”,
girato in occasione del ventennale della
pellicola (tanto per capire anche il divario
di tempi che separa le uscite USA dalle
nostre, sono passati quasi cinque anni).
Nel corso dei suoi quasi cinquanta minuti,
vengono analizzati tutti gli aspetti più
interessanti della genesi e ispirazione
della pellicola attraverso interviste a
Joe Dante, al direttore della fotografia
Hora e alla protagonista Dee Wallace-Stone,
per citare le principali: si parte proprio
dalla celebrazione dei vent’anni della
pellicola, che, come ricorda lo stesso regista,
ha, nonostante tutto, il merito di essere
invecchiata bene anche rispetto ad altri
suoi lavori, forse perché, al momento
dell’uscita, certo rappresentava una
delle “nuove frontiere”. Si
passa poi ad analizzare l’origine
del mito del licantropo nel cinema, citando
L’uomo lupo prodotto dalla stessa
Universal – che distribuisce anche
The Howling – nel 1941: come dichiara
lo stesso Dante, questa pellicola fissa
in chiari termini i canoni classici del
licantropo sullo schermo, ed è omaggiata
a sua volta nel corso del film, con l’utilizzo
di estratti e con lo stesso nome del dottore,
quel Gorge Waggner che fu regista della
storica pellicola interpretata da Lon Cheney
Jr. Viene poi analizzata la riscrittura
del film, inizialmente pensato per un regista
passato poi fra i produttori, che l’autore
del libro cui fa riferimento – Gary
Brandner – non ha mai gradito, ad
opera del famoso regista John Sayles, cui
si deve l’introduzione dell’elemento
più grottesco della pellicola: la
colonia dove i licantropi, finti malati
in cura presso il dottor Waggner, si rifugiano,
che tanti chiari riferimenti porta alle
cosiddette “dottrine” tanto
in voga negli States (Un nome su tutti,
Scientology). Grazie all’intervista
alla Wallace-Stone scopriamo poi interessanti
curiosità sul cast: Christopher Stone,
allora suo fidanzato, ebbe la parte su un
suggerimento della stessa protagonista,
che nascose alla produzione la loro relazione
fino a quando Stone non venne confermato.
Si torna poi a Dante, che illustra come
fu girato il falso filmino porno proiettato
nella cabina del peep show della prima sequenza,
con una ragazza ingaggiata al volo e due
segretari di produzione con una calza infilata
in testa, nel garage dell’abitazione
dello stesso regista, della partecipazione
dello sceneggiatore Sayles come comparsa
(è l’impiegato dell’obitorio),
della scena di nudo della Brooks, girata
di notte, e prolungata dalla vastità
di scelta di filtri per la fotografia, degli
straordinari effetti di Rob Bottin, che,
di fatto, sancirono una nuova era per quanto
riguarda le trasformazioni “in diretta”,
sostituendo la dissolvenza incrociata utilizzata
fino ad allora con l’unione di trucco
– ai “licantropi” venivano
applicati al viso e al corpo preservativi
coperti da uno strato di lattice modellato
sui loro stessi volti, e per la trasformazione
di Picardo otto assistenti occorsero per
“gonfiare” l’attore a
fiato nel corso della mutazione - e tecniche
di ripresa – dai normali ventiquattro
fotogrammi al secondo si passava ai dodici,
per poi tornare ad accelerare, e di nuovo
in slow motion per enfatizzare dettagli
come la saliva che cola dal muso del licantropo
stesso –. Si chiude il documentario
con gli ultimi dettagli sull’utilizzo
dell’animazione al termine della scena
di nudo della Brooks, scelta motivata dalla
mancanza di fondi, e parlando delle traversie
degli stessi effetti di Bottin, che, con
i soldi a disposizione da principio, potè
solo fabbricare zampe e teste di licantropi,
mentre per la scena dell’uccisione
di Terry ad opera di Eddie si dovette rigirare
con il costume completo soltanto tre mesi
dopo la fine delle riprese, quando la produzione
acconsentì all’utilizzo di
nuovi fondi.
Commento Finale
Ormai sarà chiara la mia posizione
riguardo quest’opera, di certo fra
le più importanti dell’horror
contemporaneo, e non solo, così sfrutto
queste ultime righe per consigliarla a chiunque
voglia farsi un idea di quello che è
considerato “horror d’autore”
e quale sia la sua effettiva portata, agli
appassionati di genere, e, in ogni caso,
a chiunque voglia passare un ora e mezza
con gli occhi fissi allo schermo, divertendosi,
spaventandosi e cercando di capire, attorno
a noi, quali siano i “licantropi”,
o dove, nel cuore di ogni uomo, come il
padre di Lon Cheney Jr afferma nell’ormai
mitico “Uomo lupo”, si
nasconda la “bestia”,
che tanti sogni ha popolato di registi,
autori, e, pensandoci bene, di ognuno di
noi. Un piccolo, grande cult.
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