La Trama
La reporter televisiva Karen White (Dee
Wallace-Stone), oggetto del desiderio di
un feroce serial killer che tiene la città
in una morsa di terrore, accetta, supportata
dai colleghi giornalisti e dalla polizia,
di fare da esca per la cattura dello stesso
omicida sfruttando il rapporto di “confidenza”
che tra i due si è creato. In uno
dei peggiori quartieri della città,
all’interno di un peep show, Eddie
(Robert Picardo), questo il nome dell’assassino,
da appuntamento a Karen affinché,
finalmente, si possa concretizzare il loro
primo vero incontro. L’intervento
tempestivo della polizia e la susseguente
morte del killer portano la giornalista
alla ribalta delle cronache, che la dipingono
come un eroina: eppure lo shock derivato
dall’esperienza continua a turbare
l’esistenza di Karen, che, rivoltasi
a un noto psicologo, il dottor Waggner (Patrick
McNee), viene consigliata affinché
passi un periodo di riposo in una colonia
gestita dallo stesso medico, sulle colline
fuori città, perché possa
recuperare la memoria completa dei fatti
avvenuti nella cabina del peep show e, di
conseguenza, superare il trauma. Così,
accompagnata dal marito Bill (Christopher
Stone), giornalista anch’egli, Karen
si trasferisce all’interno della colonia
per una breve vacanza: eppure, nonostante
la bellezza del luogo e l’apparente
tranquillità, i sonni della donna
sono continuamente turbati da incubi che
la riportano al giorno della morte di Eddie
e dal costante suono di terrificanti ululati
provenienti dai boschi. Inoltre, la presenza
di Marsha (Elizabeth Brooks), dark lady
dall’aura ammaliatrice, e il disagio
rispetto agli altri abitanti della colonia,
non aiutano Karen a superare tensioni e
paure. La morte di alcune mucche, le progressive
mancanze di Bill, la sua presunta relazione
con la stessa Marsha, gli incubi, la tensione
accumulata, portano Karen una volta ancora
sull’orlo del crollo, tanto da spingerla
a contattare i due amici e colleghi Terry
(Belinda Balasci) e Fred (Kevin McCarthy),
che, insospettiti dai racconti della donna,
tornano ad indagare sul caso di Eddie, scoprendo
non solo che il suo cadavere è scomparso
dalla morgue, ma, attraverso alcuni disegni
rinvenuti nel vecchio appartamento del killer,
che lo stesso pare essere originario della
zona dove si trova la colonia. Terry, giunta
in loco per confortare l’amica, si
trova dunque faccia a faccia con la verità
dell’intera vicenda: la colonia stessa
è un rifugio per licantropi organizzato,
fondato e voluto dal dottor Waggner, di
cui lo stesso Eddie faceva parte.
Fred, contattato da Terry, non riesce a
impedirne l’uccisione, e può
solo tentare il tutto per tutto –
anche grazie alla consulenza di un esperto
bibliotecario (Dick Miller) – per
salvare Karen, minacciata dall’intera
comunità, guidata ora da Marsha,
sorella del redivivo Eddie, tornato a casa,
e nuova leader del “branco”,
che “spodesta” il dottor
Waggner e abbraccia un nuovo componente,
il marito di Karen, Bill. La fuga, che porterà
morte e distruzione nel “paradiso”
della colonia sancendo la fine del sogno
del dottore, si concluderà con l’uccisione
dello stesso Bill: ma per Karen, l’incubo
sarà davvero finito?
Commento
“Chiunque venga morso da un lupo
mannaro e sopravviva, è destinato
egli stesso a diventarlo.”
Con questo monito ferale la zingara dell’Uomo
Lupo di George Waggner targato 1941 avvertiva
Lon Cheney Jr, aggredito (e morso, appunto)
da Bela Lugosi: come lo stesso Dante dichiara,
questa frase racchiude tutto quello che
uno spettatore deve sapere a proposito di
un lupo mannaro, e che, a tutti gli effetti,
determinò, all’epoca, i canoni
classici di un genere di storia che, nei
decenni successivi, ebbe fortune alterne,
passando da opere attuali e all’avanguardia
a veri e propri “horror”
(e non alludo al genere). Certamente, “The
howling”, o “L’ululato”,
seguendo la letterale quanto atroce traduzione
italiana, fa parte della prima categoria:
con il suddetto “Uomo lupo”
e l’appena successivo “Un lupo
mannaro americano a Londra” (1981)
rappresenta, a tutti gli effetti, la vetta
della produzione “licantropistica”
mai passata sul grande (e piccolo) schermo.
Non solo, ma, a mio parere, accanto alla
trilogia degli zombi di Romero, a “Non
aprite quella porta”, alle prime opere
di James Whale e Jacques Tourneur e al “Seme
della follia” di Carpenter, è
in assoluto annoverabile fra le più
grandi pellicole dell’horror “con
sottotesto”.
Al di là dei chiari intenti di intrattenimento
– riconosciuti dal regista quasi più
del resto dei significati – e della
vicenda in sé, infatti, ci troviamo
di fronte a un vero gioiellino che riesce
a convogliare i canoni classici del suo
genere, diverse fasce d’età
– e di lettura – per quanto
riguarda il pubblico e una serie di acutissime
critiche sociali nascoste dietro sangue,
pelo e, appunto, ululati: la maggior parte
del merito di quest’ultimo aspetto
va certo riconosciuto all’interessantissima
sceneggiatura di John Sayles, che, dagli
“smile” appiccicati come briciole
di pane dall’assassino Eddie fino
all’idea – assolutamente intrigante
– della colonia per licantropi, si
destreggia al meglio fra parentesi grottesche
e umoristiche ricche di significato: Bill,
marito di Karen, arriva alla colonia e si
fa notare per essere vegetariano, T.C.,
fratello di Marsha e Eddie, vero e proprio
esempio di licantropismo, al termine di
una battuta di caccia afferma, laconico,
rivolgendosi allo stesso Bill, che ha appena
abbattuto una lepre, di farla cucinare a
sua sorella e darla alla moglie, “perché
uccidere un animale e non mangiarlo è
puro sadismo”; straordinaria, poi,
è la sequenza della morte di Terry,
che mostra, nel montaggio alternato, il
fidanzato Fred, all’altro capo del
telefono, mentre guarda un cartone animato
con protagonista Ezechiele il lupo, proprio
mentre la sua ragazza viene uccisa da Eddie.
Sempre in riferimento alla stessa sequenza,
bellissimo il passaggio in cui la zampa
del licantropo, di quinta, strappa dalla
mano dell’attonita ragazza un fascicolo
dello schedario del dottor Waggner. E questo
solo per citare alcuni degli spunti forniti
dallo svolgimento della “normale”
trama della pellicola.
Gli stessi licantropi, simbolo della forza
senza freni della natura, passionali e violenti,
gelosi della propria intimità e pericolosi
quanto disposti ad accogliere nuovi membri
nel branco, forniscono motivi di riflessione
che vanno ben oltre i classici profili di
genere, e che, soprattutto in un periodo
come questo, con straordinaria modernità
considerati i tempi in cui il film fu girato,
ben rappresentano le differenze culturali
fra Europa e Stati Uniti: se il vampiro
– dal Dracula coppoliano ai Lestat
e Louis di Neil Jordan – è
raffinato, amante della cultura, spietato
ma elegante, è profondamente europeo,
il licantropo, con “The Howling”,
assume una connotazione fortemente americana,
che passa dalla cultura delle “comunità
di affermazione”, alla musica folk
– tipico richiamo “sudista”
-, al sospetto, all’accoglienza che
diviene, in caso di rifiuto, violenza quasi
cieca, dettata principalmente da un istinto
animale. Viene il dubbio che l’attuale
Presidente USA si fosse potuto trovare a
proprio agio nell’eremo del dottor
Waggner, e, forse, con un po’ di malizia
in più, è legittimo pensare
a lui come a una sorta di “licantropo
politico”.
Tornando alla pellicola, appare chiaro come,
nonostante la riuscita della stessa, la
storia passi in secondo piano rispetto le
numerose citazioni e riflessioni suggerite,
a voce più o meno alta – che
“L’ululato” sia
un titolo evocativo, in tal senso? –
ponendosi, di fatto, come un anticamera
dei veri significati del film, che, al contempo,
diviene utile quando – e parlo soprattutto
del pubblico più giovane –
queste tracce appaiono ancora troppo vaghe.
Lo stesso tipo di lavoro che, soltanto l’anno
seguente, con risultati altrettanto efficaci,
svolgerà John Landis con il già
citato “Un lupo mannaro americano
a Londra” – ed ecco tornare
il concetto del licantropo “made
in USA”-, accentuando, se possibile,
la componente umoristico/grottesca.
Joe Dante, vero professionista dell’entertainment
e padre cinematografico, a mio parere, dei
successivi Raimi&Co., non avrà
la profondità, o la tecnica, di Romero,
ma certo, e in special modo con questo lavoro,
è riuscito a creare la giusta alchimia
fra cinema d’autore e di genere, sdoganando
dopo anni di silenzio i poveri, dimenticati
lupi mannari e affermando l’horror
come genere “nobile”, quando,
troppo spesso – e non sempre per colpa
dell’esterno, ma della stessa, scarsissima
produzione – è stato bollato
come cinema per ragazzini assetati di squartamenti
o, in ogni caso, di “serie B”:
non sarà per tutti – ma perché
no, in fondo? – ma chiunque dubiti,
in tal senso, può sempre pensare
di allargare i suoi orizzonti passando,
di certo, anche da qui: Joe Dante e i suoi
“ululati” vi stanno aspettando…
Continua
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