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La Tecnica
Credo che Zhang Yimou non abbia, tecnicamente parlando, bisogno di presentazioni: il regista di “Lanterne rosse” è stato premiato e incensato in tutto il mondo, e ha dato sfoggio, nel corso della sua carriera, delle più diverse tecniche cinematografiche, andando dall’accademismo formale e dalle simmetrie di quello che, a tutt’oggi, resta il suo film-simbolo (il suddetto “Lanterne rosse”) e de “La triade di Shangai” fino alla camera a spalla in movimento continuo tuffata nella realtà metropolitana di “Keep cool”, mantenendo sempre a un ottimo livello quasi tutte le sue produzioni e divenendo, nel corso degli anni, un regista “cult” in patria e non solo. Anche se “Hero” certo non può essere considerato il suo capolavoro, la prima prova di Zhang Yimou nel territorio (assai sdrucciolevole) dell’ “action movie” è decisamente convincente, oltre che negli appena analizzati aspetti “sociali”, anche dal punto di vista “pratico”: a tal proposito, sottolineo principalmente quattro momenti della pellicola che ho trovato particolarmente interessanti, uno legato alla struttura stessa del film, gli altri più inseriti nel contesto della storia.
Cominciando dal primo, certo non può non passare inosservato, per efficacia, il sapiente utilizzo del flashback, prima nel racconto di Senza nome, poi in quello del re, e di nuovo dell’eroe, basato sull’utilizzo di filtri e su una cromia differente – e qui si dovrebbe aprire una lunga parentesi sullo studio dei colori legato ai singoli personaggi, che forse solo lo stesso regista e il direttore della fotografia conoscono a fondo, come fu, ad esempio, per Kurosawa con i suoi Ran e Kagemusha o Kubrick per Eyes Wide Shut – che influenza anche la stessa fotografia: bellissime le sequenze in tonalità di nero del palazzo del sovrano di Chin, il primo racconto di Senza nome, filtrato di rosso, la battaglia di Spada spezzata e Neve che vola, interamente in verde, l’interpretazione dei fatti del sovrano, velata di blu, e la finale ripresa di Senza nome, legata al bianco.
Passando proprio attraverso questi episodi, cito in particolare la bellissima scena, nel primo racconto di Senza nome, che porta all’uccisione di Spada spezzata, improvvisa ed estranea a quella che sembra l’azione di una sequenza “sentimentale”, ma proprio per questo ancora più efficace, e resa straordinariamente dall’uso di una parete di legno che separa i campi di Spada spezzata e Neve che vola, quasi fosse una sorta di “split screen” interno.
Accanto ad essa, non vanno dimenticate il duello fra Neve che vola e l’allieva di Spada spezzata in cerca di vendetta, quasi una danza fra le foglie gialle di una foresta, che, per coreografie e contrasti cromatici – mai così vivo il rosso dei lunghi vestiti delle protagoniste – ipnotizza e affascina, chiudendo il suo cerchio con l’utilizzo di un filtro rosso molto simile a quello che caratterizza il momento migliore del recente “Alexander” stoniano.
Giungo quindi a quello che, per equilibrio, simmetria, fotografia e “delicatezza” è in assoluto il mio momento preferito della pellicola: il duello sul lago di Spada spezzata e Senza nome, velato in blu, circondato da un paesaggio splendido, statico nel suo silenzio imponente rotto solo dalle lontane grida dei duellanti, e riflesso, come fosse uno specchio naturale, dal lago stesso sulle le cui acque i due spadaccini volteggiano senza mai sprofondare, rompendo, sempre e solo per brevi istanti, l’equilibrio perfetto delle immagini riflesse.
Accanto all’ottimo operato del regista, l’insostituibile apporto del direttore della fotografia Doyle e del coordinatore dei duelli Tony Ching, buono il montaggio e, benché piuttosto “rumorosa”, anche la colonna sonora, la cui efficacia va ricercata principalmente, a mio parere, nelle percussioni di Kodo. Ottimo anche il cast, formato da grandi performer d’azione – Jet Li e Donnie Yen, già compagni sullo schermo -, grandi promesse – la bellissima Zhang Ziyi, ex ballerina e, a tutti gli effetti, erede di Gong Li, già vista ne “La tigre e il dragone”, protagonista della seconda fatica dello stesso Zhang Yimou in ambito “cappa e spada”, “La foresta dei pugnali volanti” e dello splendido “2046” di Wong Kar Wai – e coppie d’oro come Tony Leung e Maggie Cheung – protagonisti di “In the mood for love”, ed entrambi premiati a Cannes come migliori attori- .
Per quanto riguarda l’edizione, un plauso alla Eagle, che, già dalla confezione – un inedita custodia metallica che nasconde un doppio dvd – promette molto bene, che rispetta la versione originale mantenendo anche l’opzione di audio in cinese, e, dal punto di vista visivo come per il sonoro, si attesta fra le migliori uscite degli ultimi tempi, punto forte un DTS che, con il giusto impianto, rischia davvero di portarci “al cuore dei duelli”. Unica nota dolente: scandaloso, per quanto utile a livello commerciale, lo sfruttamento del nome di Tarantino che campeggia in copertina (come fu per la locandina all’uscita nelle sale) quasi come fosse lui il regista. Un altro esempio di quanto si possa abbassare l’industria mortificando un arte giovane e piena di potenzialità come il cinema: se fossi in Zhang Yimou e vedessi lo scempio che è stato fatto qui in Italia per vendere un suo prodotto come frutto dell’idea di un regista qui certo più famoso, non la prenderei certo troppo bene (per usare un eufemismo…).

   


Contenuti Extra
La sezione degli extra, per quanto non sfavillante come ci si aspetterebbe dall’ottima confezione, risulta comunque interessante e abbastanza ben gestita: si parte con la possibilità di confrontare gli storyboard di quattro scene (in particolare il duello sul lago tra Spada spezzata e Senza nome, quello nella foresta di Neve che cade e l’allieva di Spada spezzata, il colpo segreto di Senza nome nella biblioteca e il duello, accerchiati dall’esercito, di Senza nome e Neve che cade) con le scene ultimate: grazie all’utilizzo di due “finestre”, infatti, scorrono davanti ai nostri occhi le immagini degli storyboard e quelle del “final cut”, in modo da constatare le differenze strutturali nate dalla lavorazione e, al contrario, le assonanze, soprattutto di ritmo, fra la prima idea e il “definitivo”; segue una breve sezione – purtroppo muta – di outtakes, con errori e fuori programma presentatisi sul set; troviamo poi il consueto dietro le quinte – come al solito con audio “in presa diretta” non sottotitolato – che ci permette di spostarci al di là delle macchine da presa nel corso di alcuni degli “shot”, due brevi interviste a Jet Li (curiosità: non lo pensavo davvero così basso!!!) e a Quentin Tarantino, dove, partendo dai primi dubbi a proposito della direzione di un film di questo genere da parte di Zhang Yimou si giunge alla definitiva consacrazione di “Hero” come il miglior film di genere passato sugli schermi negli ultimi anni, una pellicola che non si accontenta di stupire grazie a effetti speciali e azione, ma che pone le sue basi in una solida storia che lega amore, vendetta e “politica” indissolubilmente.
Chiude la sezione uno special, presentato dagli stessi Jet Li e Tarantino, sul cinema di arti marziali e sui duelli di “Hero”, girato probabilmente negli States poco prima dell’uscita del film nelle sale a scopi promozionali, a dire il vero non straordinario, nonostante l’interessante viaggio in quello che, almeno fino a qualche tempo fa, era considerato un sottogenere in via d’estinzione, e che ora pare vivere una seconda giovinezza: da “La morte nella mano” e “Vengeance”, passando da “Gli implacabili colossi del karate”, da Chu Cheng, definito da Tarantino “lo Stanley Kubrick” dei film di arti marziali fino a Gordon Liu, interprete di “36 chambers of Shaolin” e, guarda caso, di “Kill Bill” (e qui il regista americano non lesina un po’ di autocelebrazione e pubblicità al suo ultimo lavoro). Chiude lo special una breve carrellata dei film di Jet Li, prima dell’analisi vera e propria di alcune sequenze di “Hero”, corredate da interviste allo stesso protagonista, a Tarantino, a Donnie Yen e Maggie Cheung, che rivelano le loro sequenze preferite e parlano della profonda differenza fra le arti marziali studiate per essere mostrate in una pellicola e quelle reali, più legate a movimenti secchi e minimi, rigorose, non definite da uno stile che varia così profondamente da combattente a combattente. Doverosa, in questo senso, anche la citazione, da parte di Jet Li, all’intramontabile Bruce Lee, che ha avuto il grande merito di lanciare questo genere di pellicole, di elaborare uno stile mai statico e che fosse utile quasi allo stesso modo al cinema come nel combattimento.


Commento Finale
Spesso capita, quando si parla di prodotti di questo tipo, di film “d’avventura” o “kolossal”, comunque li si voglia chiamare, di incappare in grandi produzioni dalle poche riflessioni e molte, ridondanti cornici: fortunatamente a volte, quando dietro la macchina da presa c’è un regista dotato, se vogliamo così definirlo, “d’essai”, anche quelli che possono comunemente passare per slavati prodotti “high-budget” assumono un aura quasi “di culto” che, per tecnica, cura e interpretazione, li porta un passo – e più – avanti rispetto alla maggior parte dei loro spesso inguardabili “colleghi”. “Hero”, con i due “Kill Bill”, “Master and commander” e “Il signore degli anelli” (comprenderei anche “Zatoichi”, ma forse siamo qualche passo – molti, a dir la verità – oltre), per citare i più importanti, ben rappresenta questa categoria, che, se non subito, perlomeno avrà il merito, in futuro, di riunire grande pubblico e critica tendenzialmente snob senza che i primi si ammorbino con vuota azione e i secondi con eccessivi intellettualismi.
E tutti, proprio tutti, per una volta, “sotto un unico cielo”.

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Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
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Sottotitoli:
Italiano, Italiano per non udenti.

Formato:
2.35:1 widescreen.

Regia:
Zhang Yimou.

Lingue:
Italiano 5.1 Dolby digital, Italiano 6.1 DTS, Cinese 5.1 Dolby digital.

Cast:
Jet Li, Tony Leung, Maggie Cheung, Zhang Ziyi, Chen Dao Ming, Donnie Yen.

Durata: 96'

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