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Fuori Orario


La Trama
E’ una giornata come tante per il tecnico di computer Paul Hackett (G. Dunne), che si avvia alla conclusione dopo la noia dell’ufficio. L’idea migliore per rompere la monotonia è una serata fuori, alla ricerca di svago e compagnia. Tutto sembra mettersi per il meglio quando Paul conosce Marcy (R. Arquette), che prima gli lascia il suo numero, poi, richiamata dal ragazzo appena rincasato, lo invita da lei per trascorrere insieme la nottata.
A questo punto per Paul cominicia una vera e propria odissea di sfortune e coincidenze che lo porta in un quartiere lontano da casa sua, “ostile”, che il ragazzo non conosce e non riesce (letteralmente) a lasciarsi alle spalle: dal vento nel taxi alla compagna d’appartamento di Marcy, l’insolita scultrice Kiki (L. Fiorentino) e il suo altrettanto insolito compagno Horst, dal barista Tom (J. Heard) alla sua strampalata cameriera Julie (T. Garr), dalla gelataia Gail (C. O’Hara) alla sola e triste June (V. Bloom) passando attraverso suicidi, omicidi, furti, club “d’avanguardia” con serate mohawk, fughe, nevrosi e incomprensioni, aumenti dei biglietti della metropolitana e statue di cartapesta. Tutto questo, e molto altro, soltanto per cercare di tornare a casa.
Un viaggio ironico e grottesco attraverso New York e la sua notte, fatta di persone che, come bandite dalla luce del giorno, cercano una loro dimensione aggirando paure e psicosi che, inevitabilmente, non riescono a nascondere: un sogno, o più propriamente un incubo, per il “normale” Paul, costretto, ogni volta, a ripararsi in un bagno qualsiasi lavandosi il viso come per svegliarsi e puntualmente, quasi uno scherzo del destino, ritrovarsi di nuovo “fuori orario”, con un alba che sembra sempre più lontana.

 

Commento
Se mai vi è capitato di girare un po’ in città (e non importa quale) di notte, magari a piedi, o sui mezzi pubblici, magari in un quartiere che non conoscete così bene, sapete che esiste un confine invisibile che separa la luce del giorno, e la sua “popolazione”, le sue consuetudini, da tutto quello che, invece, è portato dall’oscurità: canzoni, racconti, romanzi, film, l’arte ha sempre cercato di dare una spiegazione, di questa separazione, o ci si è in un qualche modo tuffata, alla ricerca di un brivido o di risposte che, in genere, tendono a non arrivare.
Paul Hackett non è un artista, solo un giovane programmatore animato da una voglia di “movimento” che lo accomuna a tutti noi, che dopo il lavoro tendiamo, quando non siamo troppo stanchi, a cercare rifugio e divertimento in una notte che promette sempre di essere diversa dal giorno: e come noi, Paul è un “turista” di questa notte affascinante e sfuggente, crudele ed eccitante, un uomo lasciato in balia del destino – e soprattutto della sfortuna – da una notte che pare interminabile e gioca con lui come una donna, capricciosa e irresistibile, forse addirittura incarnandosi nelle numerose presenze femminili, fulcro assoluto di quella che, a mio parere, resta una delle pellicole più innovative e originali degli anni ’80.
La quasi fanciullesca Marcy (bellissima e brava Rosanna Arquette), vulnerabile come una bambina eppure allusiva, seducente, legata a doppio filo con quel Miller che fa da tramite all’incontro con Paul, la decisa Kiki, tra sculture e sadomaso, la stramba Julie, cameriera gentile o pazza ossessionata dai topi e dagli uomini, la scontrosa Gail, a metà fra disponibilità e psicosi e la quasi materna June, triste e sola, paiono tutte incarnazioni di una notte che ha visto proprio in Paul la vittima perfetta, incapace di liberarsi di ognuna di loro e, inevitabilmente, dei suoi stessi errori.
Scorsese delinea un ritratto eccezionale dell’uomo comune alle prese con l’imprevedibilità del destino, che, però, non si traduce in eventi straordinari, ma in piccole follie “di tutti i giorni” che, forse proprio a causa della loro “ordinarietà”, appaiono addirittura più inquietanti: come, quattordici anni dopo, Kubrick farà nel suo ultimo capolavoro Eyes Wide Shut, assistiamo a gesti ripetuti, quasi istintivi, nei quali Paul si rifugia come per trovare conferma della sua identità anche nei momenti di maggior smarrimento, come il lavarsi il viso e sistemarsi i capelli – quasi un desiderio del sempre troppo lontano mattino- o lo scusarsi per ogni cosa, dai suoi stessi eccessi a quelli delle persone con cui ha a che fare. Agli spettatori, di contro alle angosce del personaggio, tutta la vicenda appare come una gigantesca burla, e il ritmo indiavolato, così come i rischi e gli avvenimenti – anche drammatici – divengono motivo più di divertimento, che di apprensione, di nuovo grazie a un approccio – sia tecnico che artistico – nella regia e nella sceneggiatura, legato più al grottesco che al drammatico, che, per scelta, rimane invece a guidare la recitazione degli attori.
Scorsese torna così sulle strade della “sua” New York, questa volta senza il carico emotivo e drammatico di Mean Streets e Taxy Driver, eppure ugualmente incisivo, regalando al suo lavoro un impronta decisamente atipica e di grande effetto – non un momento di cedimento, né di requie, dal primo all’ultimo minuto del film – su un copione che, sicuramente, ha la grande forza di poter essere adattato a seconda dei gusti del regista stesso (penso a cosa sarebbe diventato diretto, ad esempio, da Lynch, o, come inizialmente doveva essere, da Tim Burton) e che si offre a interpretazioni stratificate – sociologiche, critiche, ma anche, e più semplicemente, di uno “smarrito”, surreale divertimento – in ogni suo episodio.
Proprio Paul diventa la pietra angolare di ognuno di questi episodi, nonché l’unico elemento “costante” della vicenda, costruita su personaggi imprevedibili e quasi “psicotici”, fonti di turbamento anche – e soprattutto – nei loro momenti di “normalità”: straordinarie, in questo senso, la sequenza in metropolitana, la visita a casa della cameriera Julie – senza parole l’inquadratura al letto a baldacchino circondato da trappole per topi – e la telefonata offerta da Gail, che, come racconterà lo stesso Paul in un altro eccezionale episodio della sua nottata, “si offre di fargli usare il telefono, ma solo usare, per metterlo su e giù, su e giù”; e questi sono soltanto alcuni, e solo l’inizio.
Quasi impossibile non identificarsi in questo povero programmatore, certo non un eroe, ne una persona così simpatica, ma troppo sfortunato e “normale” da non suscitare una sorta di “cameratesco” parteggiamento perché possa, alla fine, poter tornare a casa (quella stessa casa che pare “dare in pegno” all’incontro con Tom, unica – o quasi – figura “solidale” con lui, disposta a dargli da subito fiducia e una speranza di rientro), a quella vita di tutti i giorni che, a inizio nottata, pareva lontana e frustrante, e che diviene, un avvenimento dopo l’altro, al contrario, un oasi alla quale ritornare, quasi felici.
Al termine delle riprese, Scorsese ringraziò Griffin Dunne (protagonista e produttore) e Amy Robinson (produttrice) per avergli proposto di lavorare a questo progetto, e per avergli fatto “tornare l’amore per la cinematografia”: sicuramente non è un film consueto, e di certo non è quello che “la norma” chiamerebbe un capolavoro – magari ripensando ai succitati Taxy Driver e Mean Streets – eppure se c’è, fra i lavori del grande regista, uno che possa definirsi “cinema”, è proprio questo piccolo gioiello di “ghezziana memoria”, sicuramente, con “I guerrieri della notte” e “Un lupo mannaro americano a Londra” (curiose le coincidenze: il primo è ambientato a New York, il secondo ha Griffin Dunne come co-protagonista) uno dei film simbolo non solo degli anni ’80, ma di quella notte che ci fa innamorare, impazzire, scappare.

Continua

   
Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
Fuori Orario

Sottotitoli:
Italiano, Italiano per non udenti, Inglese, Inglese per non udenti, Francese, Olandese, Arabo, Rumeno.

Formato:
16:9, 1.85:1.

Regia:
Martin Scorsese.

Lingue:
Italiano, Inglese, Francese 1.0.

Cast:
Rosanna Arquette, Verna Bloom, Griffin Dunne, Linda Fiorentino, Teri Garr, John Heard, Catherine O’Hara.

Durata: 93''

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