La Trama
Bill (J. Theobald), aspirante scrittore
disoccupato, passa le sue giornate cercando
ispirazione per le strade, seguendo persone
scelte a caso che possano ispirare soggetti
o idee valide per un ipotetico nuovo lavoro:
i suoi pedinamenti si consumano apparentemente
come rifugio dalla noia, e durano la distanza
che separa il pedinato dalla sua destinazione.
Tutto, nella vita di Bill, scorre in questa
strana monotonia, almeno fino a quando Cobb
(A. Haw), ennesima persona scelta dal ragazzo,
si accorge di lui e lo smaschera quando
il giovane decide di "rischiare"
il pedinamento entrando nella stessa tavola
calda della sua "vittima". Da questo
momento Cobb assume, per Bill, il ruolo
di guida, confessore, mentore, antagonista:
per prima cosa appare molto sicuro di sé,
ben vestito, acuto, intelligente, colto,
più vecchio del ragazzo e di conseguenza
più esperto in quello che lui ritiene essere
il passo successivo, e senz'altro più coraggioso,
rispetto il "passatempo" di Bill. Cobb,
infatti, è un ladro d'appartamenti: non
un comune rapinatore, s'intenda, bensì una
sorta di "antropologo", uno studioso dell'animo
umano e delle vite raccontate dagli oggetti.
I suoi sono piccoli furti atti solamente
all'auto finanziamento, del tutto subordinati,
appunto, all'intrusione nelle vite dei rapinati.
Senza neppure troppa fatica, Cobb convince
Bill ad assisterlo in una delle sue "incursioni",
mostrando al ragazzo una nuova e più stimolante
via per cercare un ispirazione, oltre che
i brividi dell'azione: passo dopo passo,
Bill si avvicina a Cobb sempre più, quasi
fino a diventare lui, capelli, vestiti,
atteggiamento, modus operandi. Intreccia
una relazione con la misteriosa moglie (L.
Russell) di un pericoloso boss locale, vista
in foto in uno degli appartamenti "visitati",
fino a rischiare ben più di quello che mai
si sarebbe immaginato. Così, per gioco,
amore, follia, istigazione, arriva il momento
di un furto ben più consistente, rischioso,
ricco. Non più solo il brivido di una violazione
di domicilio, ma un bottino che promette
tranquillità e sicurezza. Premio di una
donna che, forse, si è decisa a legarsi.
Ma qualcosa va storto. Qualcuno parla, qualcuno
fugge. E dietro, pare esserci sempre, solo
Cobb. Restano Bill e un poliziotto (J. Nolan)
a cui affidare una confessione. Per incastrarlo,
ed essere libero. Per lei. Con lei. Sarà
davvero così? Esiste davvero, Cobb, o è
solo il fantasma di un desiderio inespresso?
Commento
Vi è mai capitato, sui mezzi o per strada,
di guardare una persona, anche di sfuggita,
e cercare di definirne la storia, provando
a pensare cosa l'ha condotta fino a quell'istante,
quali scelte, motivazioni, momenti, decisioni?
Per uno scrittore - o un musicista, un regista,
un pittore che dir si voglia - è un esercizio
molto comune, spesso utile per "tenere
in allenamento" la fantasia prendendo
spunto dalla realtà, considerando che, quando
si pongono su carta pensieri e parole, spesso
tutto quello che nasce altro non è se non
il figlio - più o meno legittimo - di esperienze
ed esistenze profondamente reali. Christopher
Nolan, con un fratello scrittore e lui stesso
sceneggiatore e regista, conosce bene il
processo creativo che sta alle spalle della
creazione di personaggi e storie, e sfrutta
un idea tutto sommato non nuovissima per
sviluppare una sorta di incrocio fra il
noir e l'incubo del doppio con tutta la
volontà, il fervore e - senza dubbio - l'arroganza
di un esordiente. Il primo lungometraggio
del talentuoso cineasta inglese è, a tutti
gli effetti, il seme delle sue opere successive,
e, per quanto limitato rispetto ad esse,
certo pretenzioso e non poco "radical-chic"
altro non è che lo specchio del talento
che esploderà soltanto l'anno successivo
con lo straordinario Memento. Come nel succitato
e già "reviewizzato" titolo anche in "Following"
Nolan parte da un presupposto di smarrimento
- temporale, fisico, mentale - e mette il
pubblico di fronte a un protagonista "perdente"
(caratteristica comune a tutti i suoi personaggi
principe), che già dalla prima inquadratura
denota i sintomi di quello che sarà il suo
destino finale: se in "Memento" la "vittoria"
ha un sapore amaro quanto effimero e in
"Insomnia" un prezzo forse troppo alto,
qui la risoluzione pare assumere la connotazione
di una sorta di illusione, vissuta prima
attraverso le vite immaginate dei pedinati,
poi all'ombra di Cobb e della sua schiacciante
presenza e per finire attraverso "l'amore"
della donna e il racconto al poliziotto,
entrambi vissuti "da protagonista" forse
solo nella mente dello stesso Bill. Emblematico,
in questo senso, l'episodio della rapina
nella sua stessa casa: il ragazzo, infatti,
spinto dalla grande conoscenza che Cobb
sfoggia delle "vittime" delle loro visite,
organizza un furto nel suo stesso appartamento,
aspettando di ascoltare cosa il suo nuovo
compagno pensa di lui senza sapere che è
di lui stesso che si sta parlando. Proprio
in questa occasione Cobb, impietosamente,
traccia un confine fra loro, definendo l'occupante
dell'appartamento uno stupido, codardo e
incompleto, uno scrittore che non ha il
coraggio di essere uno scrittore (curiosa
la riflessione a tal proposito: la macchina
da scrivere definisce la codardia dell'aspirante
scrittore, il pc la professionalità dello
scrittore "fatto e finito"), per poi aggiungere
al danno la beffa rifiutandosi di rubare
un qualsiasi oggetto a un disoccupato. Così
Bill, passo dopo passo, volontariamente
eppure allo stesso tempo guidato, indotto,
"muta" in Cobb, tagliandosi barba e capelli,
cambiando vestiti, modo di porsi, di agire,
alla ricerca di una separazione e un affermazione
che lo portino a pensare di avere superato
il suo "maestro", arrivando a osare conquistando
la donna che loro stessi hanno rapinato,
e operando un furto per lei. Gli effetti
delle scelte - coscienti oppure no - del
protagonista, si ripercuoteranno sullo stesso,
come, appunto, lo stesso Nolan avrà modo
di approfondire nei suoi lavori successivi
e, sono pronto a scommetterci, porrà sotto
i riflettori anche nella sua imminente interpretazione
di Batman (in uscita il prossimo autunno).
Se l'ossatura del racconto, così come la
sua risoluzione, paiono essere debitrici
del noir come genere, pur se filtrato attraverso
una serie di elementi cinematografici e
psicologici di diversa natura (il doppio,
il bianco e nero come riflesso dei due protagonisti
maschili, richiami ai primi passi mossi
da Kubrick con il suo "Bacio dell'assassino"
e al cinema newyorkese degli anni '50/'60),
lo smarrimento del protagonista è questa
volta diverso rispetto alle sperimentazioni
successive del regista: se, come abbiamo
visto recentemente, in "Memento" ci si concentra
sulla memoria e sul lato "mentale/emotivo"
del personaggio e, come vedremo, in "Insomnia"
ci si concentrerà sull'aspetto fisico, qui
l'obiettivo del cineasta pare fissarsi sull'aspetto
visivo, voyeristico, invasivo, del protagonista
come dello spettatore. L'impossibilità di
comprendere cosa si nasconde dietro l'intero
piano di Cobb è ben rappresentata dall'utilizzo
di flashback e flashforward che confondono
lo spettatore proiettandolo avanti e indietro
nella storia con l'occhio sempre fisso al
colloquio/confessione del ragazzo con il
poliziotto, così come lo stesso Bill pare
confuso dalle scelte, dai comportamenti
del suo mentore, della donna di cui si è
innamorato e dall'intera vicenda, che conosce
soltanto per quello che le sue (limitate)
interpretazione e "visione" - e qui torniamo
al voyeurismo - gli offrono. La stessa attività
di ladri d'appartamento, ma, ancor più,
di "intrusi" nelle vite delle loro "vittime",
sottolinea l'importanza di questo elemento
quasi fosse una precisa scelta non solo
di significato, ma anche stilistica, della
pellicola. Resta il dubbio, al termine del
film, che tutti noi si sia un po' complici,
un po' Bill, pochi Cobb. Ma tutti, davanti
allo schermo, alle loro vicende, inevitabilmente
voyeur. Concludendo, tensioni, interpretazioni
e pensieri a parte, è doveroso sottolineare
come certo questo lavoro non sia all'altezza
dei successivi, apparendo a tratti incompleto,
presuntuoso, quasi Nolan, ben conscio del
suo talento, abbia cercato di alzare il
tiro così tanto da averlo, infine, abbassato.
A sua discolpa certo va ricordato che è
pur sempre un "opera prima", e, escludendo
Welles e Truffaut, è molto difficile che
un regista consumi in quest'occasione un
lavoro già completo sotto ogni punto di
vista: osservando la situazione da una diversa
prospettiva, è quasi giusto che sia così.
Meglio un inizio imperfetto che dia segni
di talento e ampi margini di miglioramento
che un folgorante esordio che conceda il
dubbio di un inevitabile parabola discendente.
Continua
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