La Tecnica Parlando di cinema americano e di film "d'azione", credo che, parafrasando Jamie Foxx, non ci siano troppe spiegazioni da dare: "Sei stato preso per un suo film? Lavorerai con Micheal Mann? Wow! Essere della sua squadra è come passare dal liceo all'università, e sai quanto, da quel momento in poi, sarà considerato il tuo lavoro."
Partendo da "Manhunter", passando attraverso "Heat", "Insider", "L'ultimo dei mohicani" e "Alì", Mann si è ritagliato uno spazio di tutto rispetto nel cinema dinamico mondiale, divenendo, a tutti gli effetti, la risposta occidentale al miglior John Woo, altro regista capace - almeno in passato - di unire con efficacia senza pari la spettacolarità dell'azione e l'intensità emotiva delle sue pellicole: e di nuovo - ma c'erano davvero dubbi, specialmente dal punto di vista tecnico? - il buon Michael non ha tradito le attese. Ritmo serrato, azione e approfondimento psicologico, crudeltà del destino e una confezione perfetta: pare difficile, almeno dal punto di vista funzionale, trovare dei difetti a questa pellicola. Splendide le riprese, dagli "shot" aerei fino ai primi piani all'interno del taxi, l'uso dei fondali per caratterizzare non solo la fotografia, ma anche la stessa scena, luci straordinarie, pellicola in alta definizione, in grado di rendere al meglio anche in situazioni di scarsa luminosità, una colonna sonora efficace sia nello "score" che nella scelta dei brani, produzione senza alcuna sbavatura e cast perfetto, con il bravo Jamie Foxx, fresco di Oscar per "Ray", e il miglior Tom Cruise di sempre a farla da padroni, coadiuvati, in ogni caso, da ottimi personaggi "di contorno" (espressiva Jada Pinkett Smith, ammirevole Irma Hall, bravissimi Mark Ruffalo - già protagonista di "In the cut"- e, pur se in una parte da comprimario, il vincitore della Coppa Volpi Javier Bardèm, efficace nel rendere al meglio il personaggio di Felix).
Plauso assoluto alla fotografia e al montaggio, meritevoli quanto la regia dell'ottima resa dell'intera pellicola, anche e soprattutto per le scene più importanti - almeno a livello tecnico - che passano sullo schermo nelle quasi due ore di questa tesissima storia. Unico neo alcuni passaggi della pur ottima sceneggiatura di Beattie, risultati più forzati che "voluti dal destino" (la pistola recuperata da Max, alcuni passaggi del finale, la fuga dall'ospedale, il cellulare rubato).
Prima di concentrarsi sull'analisi delle scene "clou" spendo un ulteriore segnalazione per le troupe di tecnici e stunt occupatisi dell'incidente e delle sequenze d'azione, preparando al meglio Cruise e lavorando su modelli e macchine diversi dopo aver effettuato prove in pista e collaudi di ogni genere.
Per quanto riguarda, appunto, le scene da segnalare, cito in particolare tre sequenze: la sparatoria all'interno della discoteca, il dialogo Vincent/Max culminato con il passaggio del coyote, la caccia nell'ufficio di Annie, anche se meritevole resta anche l'ultimo inseguimento, che preferisco omettere per non anticipare nulla del finale.
Partendo dalla prima, esempio assoluto di maestria per quanto riguarda le scene d'azione (ricordo soltanto altri tre "shot" della stessa intensità, almeno di recente: la sequenza d'apertura di "Hard Boiled" di Woo, girata nella sala da the, così come il conflitto nel centro commerciale del "The mission" di Johnny To, passato praticamente inosservato in Italia, e, appunto, la battaglia fra i rapinatori e la polizia nel finale di "The heat", dello stesso Mann): un Cruise mai così espressivo, coadiuvato da un montaggio efficace, dal ritmo martellante della musica e da coreografie perfette, rendono, insieme alle luci stroboscopiche continuamente in azione, l'intera sequenza come una sorta di tamburo adrenalinico che batte sempre più veloce, per chiudere con il botto e l'improvviso colpo di scena finale.
Il dialogo fra i protagonisti nel taxi, invece, più intimista, giocato su luci opache e primi piani, scava all'interno di Vincent e Max con una profondità che, di nuovo, almeno sulla carta pare estranea a film con determinate caratteristiche, in un crescendo di tensione emotiva che culmina con il silenzio (bellissima l'idea di lasciare tutto questo spazio all'espressività e alla mimica degli attori) e l'arrivo, appunto, importante non solo visivamente, ma anche dal punto di vista simbolico, del coyote, perfettamente modulato dall'ultizzo di "Shadow on the sun" degli Audioslave, una tra le tante chicche presenti nella colonna sonora.
Conclude questa "trilogia" la caccia di Vincent nell'ufficio di Annie, dove il regista sfrutta al meglio l'apporto della pellicola in alta definizione per catturare dal buio immagini da brividi, silhouettes dei personaggi che danzano come ombre sul fondo di una città luminosa anche di notte, e dove i giochi di riflessi, vetri e specchi rendono la tensione quasi materia di una coreografia, una "danse macabre" in piena regola prima che il killer vibri il colpo decisivo.
Chiudo spendendo due parole per l'ottima edizione italiana, edita dalla Paramount e, almeno nella versione a due dischi, pregevole sia nella confezione che nella resa audio e video.
E' consigliabile, per la visione di una pellicola come questa, uno schermo più ampio e piatto possibile, anche se, ovviamente, rispetto alla resa della sala cinematografica resta, purtroppo, lontano anche il miglior plasma in commercio.
Contenuti Extra Il secondo disco della confezione, dedicato interamente agli extra, si distingue per completezza ed esaustività, merito, soprattutto, del bellissimo documentario "La città di notte - Dietro le quinte di Collateral" che, nei suoi quaranta minuti, illustra ogni aspetto della produzione della pellicola, con interviste a quasi tutti i protagonisti, allo stesso regista, al compositore della colonna sonora (lo stesso di "The village", recensito poco tempo fa) e ai responsabili di montaggio, luci, fotografia e coordinamento delle scene d'azione.
Uno degli aspetti più interessanti del documentario è la conferma del grande professionismo di Mann: ogni attore, infatti, dai protagonisti alle comparse, racconta di essere stato introdotto al personaggio come se non esistessero, appunto, charachters secondari, preoccupandosi della storia di ognuno anche senza doverla necessariamente mostrare nel corso del film. In particolare, Mann ricorda come e quanto abbia lavorato su Vincent insieme a Cruise, definendo addirittura la sua infanzia, la vita che ha preceduto la notte di L.A., dettagli che restano quasi completamente invisibili - se non nelle espressioni e negli occhi di Vincent - nel corso del film.
Interessante, da questo punto di vista, anche "l'addestramento" di ogni singolo attore: Cruise per tre mesi allenato da Mick Gould, ex SAS delle forze speciali britanniche esperto nel corpo a corpo e nell'uso delle armi, Jamie Foxx come "secondo" di veri tassisti dopo aver eseguito un ciclo di interviste a proposito di aneddoti e vite passate dei "cub-drivers", Jada Pinkett Smith per alcuni giorni ospite di una coppia che, secondo Mann, era simile all'idea che lo stesso regista aveva dei genitori di Annie, e così via.
Interessantissima anche la parte tecnica, specialmente quella dedicata all'utilizzo del taxi, di cui sono state create ben diciassette copie identiche, a seconda delle esigenze di ripresa (camera esterna di fronte, sul lunotto posteriore, a lato del guidatore o del passeggero) o di luce (uno dei taxi, all'interno, è stato fornito di una sorta di "carta da parati" in velcro che permetteva l'utilizzo di lastre dello stesso materiale che rende possibile "l'illuminazione" dei cellulari, utile quando, soprattutto per quanto riguarda i primi piani, all'interno della macchina si necessitava di una luce più intensa o "guidata" per esigenze di regia).
Curioso l'aneddoto di Jamie Foxx, che durante le riprese, teso per la riuscita di una scena, è stato responsabile di un tamponamento, e, benché, alle sue spalle, Tom Cruise ridesse di gusto, la troupe si è subito preoccupata del "capitale" che sedeva nel taxi con Foxx: "Jamie, tutto bene? Ok, Tom, ti chiamiamo un medico, lasciati dare una mano." E così via.
Sempre parlando di Foxx, tenete d'occhio il suo racconto a proposito del "pollice" di Michael Mann, sempre molto esigente nel corso delle riprese, capace di far ripetere una scena anche settantacinque volte (ne sa qualcosa Ruffalo) fino a quando, appunto, il famigerato pollice non decretava il successo di uno "shot".
Passato il piatto forte dei contenuti extra, completano la sezione "Consegna speciale", una sorta di prova a cui si sottopose Cruise in addestramento, teso a divenire "invisibile" come un sicario deve essere, e mandato in un centro commerciale sotto le mentite spoglie di un corriere, allo scopo di non essere riconosciuto da alcuno dei suoi interlocutori, la scena inedita legata al pedinamento del taxi da parte dell'FBI, eliminata da Mann per questioni di tensione e ritmo, l'analisi dettagliata della scena della "caccia" nell'ufficio di Annie, di cui abbiamo già parlato nella parte tecnica, le prove di Jamie Foxx e Tom Cruise, del giugno e settembre 2003, ottime per capire quanti e quali siano stati i progressi, soprattutto del primo, rispetto all'interpretazione finale, chiudendo con l'analisi degli effetti utilizzati nell'inseguimento in metropolitana, dove Mann ha scelto di girare con lo schermo verde in fondale esterno per poterlo poi sostituire con immagini catturate in precedenza e in grado di aumentare l'emozionalità della situazione, emancipandone ulteriormente il climax.
Commento Finale E' difficile rimanere indifferenti rispetto a lavori come questo, e, nonostante sia abituato alla grande maestria di Mann, continuo a rimanere stupito di fronte alla sua professionalità nel narrare con passione vicende che, almeno sulla carta, o in mano a registi meno abili, si ridurrebbero a meri circhi d'azione senza senso: in "Collateral", invece, tutto pare avere un significato, e volutamente, questa strada è dipinta da un destino che ha un volto e una voce, ride delle sue menzogne e si nasconde dietro coincidenze apparentemente fortuite, atte forse a distoglierci dal fatto di essere noi stessi presenti, da qualche parte, e, inseguiti o inseguitori, prima o poi, destinati a incrociare il cammino di un Vincent.
A prescindere da come andrà, per me, in quella fatidica notte, e da come uscirò, verso l'alba, semmai dovessi davvero rivederla, in attesa di quel momento, guardo gli occhi luminosi di questo coyote, il cuore di una città lontana che ho sentito viva come se mi ci trovassi catapultato, fatta di luci e ombre, indifferenza e casualità. Con il cuore di Max e la presenza evanescente ma decisa di Vincent. Caro Michael, mi hai mangiato in un boccone.
Straordinario.
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