La Trama Los Angeles, una sera qualunque. Sono approssimativamente le diciotto quando Max (J. Foxx), tassista metodico, ordinato e cordiale, si gioca una corsa gratis con la procuratrice Annie (J. Pinkett-Smith), diretta in centro e pronta a una nottata passata a preparare la sua arringa per l'imminente processo che vede coinvolti grossi nomi di un traffico di droga. Tra i due si instaura, da subito, un rapporto di complicità cui il bisogno della donna di una persona che rompa il ghiaccio della sua routine e la certo inconsueta gentilezza del tassista fanno da traino: Annie, prima di tornare al lavoro, lascia il suo numero a Max, che, ancora ipnotizzato dall'accaduto, è costretto a richiamare il cliente appena ignorato; quest'ultimo è Vincent (T. Cruise), un uomo deciso, freddo, risoluto, che apprezza la precisione di Max e, attraverso un lauto pagamento, chiede al tassista di rimanere con lui per tutta la notte, accompagnandolo nelle cinque transazioni (si presenta come un agente immobiliare) da ultimare secondo la sua agenda.
Max accetta, e Vincent si avvia, deciso, sul luogo del suo primo appuntamento.
Quando, poco dopo, un cadavere piove sul tetto del taxi di Max, precipitato da una delle finestre del palazzo ove Vincent si è appena recato, le vite di entrambi cambiano per sempre, legandosi indissolubilmente alla notte di L.A. e alla lista dello stesso Vincent, che, in quel momento, conta ancora quattro nomi: l'uomo è, infatti, un killer assoldato per eliminare i cinque principali testimoni di un processo ai nastri di partenza, ed ha in programma di terminare il suo compito entro l'alba. Max, incredulo, scosso, colpito dalla freddezza cinica di Vincent, comincia così la sua odissea attraverso la città, conducente guidato, uomo tranquillo turbato dal destino, dalla mano di un killer che pare non avere esitazioni, o rimorsi, dal passato misterioso e dai nervi così saldi da far temere il tassista anche per la sua stessa vita.
Alle loro spalle, negli specchietti del "taxi più pulito che si sia mai visto", la città si muove, attraverso spacciatori di periferia, rapinatori, poliziotti, ospedali, locali alla moda: dal detective Fanning (M. Ruffalo) all'agente FBI Pedrosa (B. McGill), passando attraverso l'ombra del minaccioso Felix (J. Bardem) e la dolce presenza della stessa madre di Max (I. Hall), i due protagonisti mettono in gioco i loro destini e anime, in una battaglia "morale" che cela le loro vite, passioni, ideologie "collaterali".
All'alba, quando la lista sarà completa, chiuderà il cerchio l'aneddoto che aveva celebrato il loro incontro: cosa riserverà, il destino, a due "fratelli" così diversi? Sono forse loro stessi, il fato l'uno dell'altro? E cosa resterà, di tutte le persone attorno, della città?
Forse neppure la luce dell'alba saprà indicarci la risposta, lasciata sospesa nella notte.
Commento A volte, discutendo di cinema, capita di incontrare posizioni molto decise, "estreme", per certi versi, quasi dissacranti, considerando l'alone magico che ho sempre considerato parte integrante della "settima arte": una di queste posizioni spesso mi è ricordata da una persona molto familiare, che tiene ad affermare quanto, anche per i film più riusciti, il cinema, in un certo senso, menta, forzando le vicende dei personaggi a seconda delle esigenze della storia, creando, in questo senso, i presupposti della trama spacciandoli come casuali. Una sorta di destino, insomma. Un altro tassello per quella che, a tutti gli effetti, è la caratteristica "divina" dell'arte: nel momento in cui qualcuno decide di raccontare una storia, qualunque mezzo scelga per farlo, a suo modo diviene il "Dio" della storia stessa, influenzando le esistenze dei protagonisti a seconda dei suoi capricci, pur riconoscendo agli stessi una certa libertà di movimento e imprevedibilità nata dalle loro individualità crescenti.
Non sono mai riuscito ad avere una posizione netta, rispetto quest'opinione, e certo, come "scrittore", mi sono sentito coinvolto, essendo io stesso responsabile della nascita, come della morte, di numerosissimi personaggi da me creati: dove il destino finisce, e cominciano i personaggi? E noi, personaggi a nostra volta, dove finiamo, dove comincia la strada per noi stata scritta, di qualunque mano sia figlia?
Non sono ancora in grado di fornire una risposta, e forse, ci sarà solo un momento, in cui lo sarò, senza avere troppa fretta: credo sia così anche per Michael Mann, ma certo il regista americano si è preoccupato di fornire un interpretazione impeccabile di quest'idea nel corso dell'ultima sua fatica cinematografica.
Su tutta la vicenda, infatti, aleggia l'ombra di un destino superiore, già scritto, o leggermente modificato "a scopo drammarturgico", fatto, però, di piccole coincidenze, scelte individuali che condizionano l'esistenza, personaggi curati, seguiti, quasi "coccolati" uccisi e scomparsi in un istante, crudele come solo la vita (e il destino) può essere.
Forse è in questo che si può riassumere il rapporto "collaterale" fra Max e Vincent: il primo, metodico, ordinato, alla ricerca di un sogno che è quasi un evasione, e che pare lo stesso Max non voglia vedere realizzato, per non esserne deluso; il secondo, freddo, cinico, spietato, solo, un professionista che porta a termine un lavoro, e per quante ferite possa nascondere l'intimo celato oltre la sua maschera glaciale, niente potrà impedirgli di cambiare il volto della notte - e della vita - di chi incrocerà per quelle strade. In un certo senso, vedo in Max il pubblico, noi stessi, la vita costruita un passo alla volta, mentre ci si porta dietro, come passeggero, il destino pronto a colpire, spietato eppure ammirevole, malvagio come vulnerabile, fragile, ma inattaccabile. Non credo sia un caso che Mann riponga così tanta passione nella figura di Vincent: in fondo, in qualche modo, è lui "il creatore", la mano che sconvolge l'ordine della vita di Max, ed è arbitro dei destini di molte altre, capace di giungere dove il "normale" regista/creatore non riuscirebbe ad arrivare, con tutto l'amore profuso in ognuna delle sue creature.
La coincidenza, quindi, come un appuntamento con il destino: voluta da un autore, scelta dai personaggi. Max che fa retromarcia per assicurarsi la corsa di Annie (probabilmente attratto dalla donna), che richiama Vincent dopo essersi distratto per garantirsi il cliente, il cadavere della prima vittima che precipita proprio sul tetto dell'auto di Max, i poliziotti richiamati un attimo prima che Vincent entri in azione, l'incontro con Fanning nell'ascensore dell'ospedale, il colloquio con la madre di Max, Annie in biblioteca, e non nel suo studio. E questi sono solo alcuni.
Tutto pare dominato dal caso, eppure, in qualche modo, sembra sempre che l'ultimo passo, la scelta decisiva, venga fatta dai protagonisti di questo dramma metropolitano mascherato con la consueta maestria da "semplice" film d'azione dal grande Mann e i suoi collaboratori.
Un destino che pare riassumersi nella sequenza emotivamente più emozionante della pellicola, che da un dialogo fra Vincent e Max lascia spazio solo al silenzio delle loro espressioni quando, nella notte luminosa e opaca di Los Angeles, a un incrocio deserto, davanti al taxi compare un coyote dagli occhi luminescenti, così simile a Vincent da fare quasi impressione, a proposito del quale nessuno parlerà più, e sarà un momento soltanto, nella notte più importante della vita di due uomini così diversi, eppure drammaticamente legati.
E' Vincent, il destino? O solo la sua mano? Mann definisce un personaggio che per noi resta solamente un apparizione, che ride delle sue bugie e in silenzio ammette le proprie colpe, un calcolatore che improvvisa, un fantasma che passa, nella notte, e scompare prima dell'alba, lasciandoci un senso d'amarezza che non è più legato alla sua storia, o a quella degli altri personaggi sfiorati dal fato nel corso della notte, ma a noi, alla strada che ogni giorno, decidiamo di percorrere, attendendo l'arrivo fatale del nostro Vincent.
Ricordo un fumetto che lessi con grande coinvolgimento anni fa, la storia di due protagonisti uniti per caso, l'uno "malvagio", un mostro, crudele e selvaggio, e l'altro un semplice ragazzino, capace, con la sua impertinenza e dotato di un arma particolare, di tenere a bada l'essere con cui era costretto a condividere l'esistenza. Alla fine della storia, divenuti in un qualche modo amici, i due si trovarono costretti ad affrontare una minaccia più grande, che, pur se sconfitta, avrebbe provocato la morte del mostro. Poco prima della fine, il ragazzo, memore delle continue minacce di morte ricevute negli anni dalla creatura, disse: "Non puoi morire, devi ancora mangiarmi". La risposta del mostro fu incredibile: "Ma io ti ho già mangiato."
In un certo senso, con l'alba a chiudere la folle notte di Vincent e Max, ho avuto la stessa sensazione. Come se il destino ci mettesse fra le mani i sassi che noi tiriamo nel nostro lago, inconsapevoli delle onde che romperanno gli equilibri: e anche quando potremo pensare di essere vittoriosi, o soli, indipendenti, non potremo, in realtà, privarci dei nostri fantasmi, degli occhi luminosi di un coyote che incrocia la nostra strada, di una visione "collaterale", del Vincent che aspetta ci sia il nostro nome, sulla sua lista, fino a che saremo noi stessi a chiamarlo, per farlo entrare nella nostra vita.
Continua
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