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Balla coi Lupi


La Trama
1863. Con la guerra civile ancora in corso, l’ufficiale decorato John J. Dunbar (K. Costner), eroe suo malgrado, chiede e ottiene per meriti in battaglia di essere trasferito all’estremo confine a Ovest, lontano dalla Secessione, alla ricerca di se stesso e desideroso di “vedere la frontiera prima che scompaia”. Giunto al remoto avamposto al quale è stato assegnato, constatata la fuga dei soldati che precedentemente l’avevano occupato, il tenente comincia la sua nuova avventura assegnandosi compiti e turni di lavoro, tenendo un diario delle sue giornate, immergendosi nella natura con la sola compagnia del fido cavallo e del lupo ribattezzato “Due calzini”, presenza costante nei dintorni del forte.
Sempre convinto del futuro arrivo di soldati per un “cambio della guardia”, il tenente Dunbar passa la maggior parte della primavera in totale solitudine, fino a che, all’inizio dell’estate, proprio quando le routine legate al suo ruolo stanno cominciando lentamente a decadere, avviene il suo primo incontro con un Sioux: malgrado l’insolita cornice – Dunbar è nudo con la pistola in pugno e l’indiano fugge sorpreso e terrorizzato – i due uomini sono profondamente curiosi l’uno dell’altro, e, complice il fatto che Dunbar sia un uomo equilibrato e Uccello Scalciante (G. Greene) – questo il nome dell’indiano – lo sciamano della sua tribù, stanziata non lontano dall’avamposto, nasce tra i due un legame volto alla scoperta l’uno dell’altro, delle usanze e dei riti di due “tribù” così diverse tra loro.
Dunbar, conquistato prima da Uccello Scalciante e poi dalla sua tribù – in cui spiccano Vento nei capelli (R. Grant), orgoglioso capo dei guerrieri, il capo Dieci Orsi e il giovane Ride coi denti – comincia così il percorso attraverso la cultura indiana, fatta di scoperte reciproche – la lingua, i riti, il caffè e lo zucchero – incomprensioni e situazioni più comiche, che drammatiche ma soprattutto, di un grande rispetto mutuato dalla grande armonia che regna nella parte di cultura indiana che il tenente conosce.
L’estate riserva così a Dunbar l’onore di una caccia al bisonte con la tribù, i primi scambi di doni e cibo, un tepee al limitare del villaggio indiano e la scoperta dell’amore: Alzata con pugno (M. McDonnell), vedova bianca da sempre vissuta con i Sioux, dapprima interprete di Dunbar, ne diviene la moglie, una volta “liberata” dal lutto da Uccello Scalciante.
A questo punto il tenente, sposo di una Sioux e vittorioso nella sua prima battaglia “indiana” per la difesa del villaggio contro i bellicosi Pawnee, abbandona il suo vecchio mondo, che ormai ben poco gli appartiene, per divenire “Balla coi lupi”, del popolo degli uomini.
Anche l’estate, che piano lascia il posto all’autunno, sembra avvertire la felicità di un uomo che ritrova – o forse scopre per la prima volta – se stesso, anche di fronte alle asprezze di un popolo orgoglioso come quello indiano, sempre più significative delle bassezze dei bianchi, privi di rispetto per la natura e il mondo attorno a loro, che si apprestano a conquistare.
Poco prima dello spostamento invernale dell’accampamento, abbandonato definitivamente il forte, Balla coi lupi tornerà per recuperare il suo vecchio diario, trovando, invece, quei rinforzi che, mesi prima, aveva così impazientemente atteso: sarà l’inizio della fine, per il sogno di Dunbar e la civiltà indiana, così complessa e affascinante, e così assurdamente portata al silenzio.
Con gli ultimi saluti e la neve dell’inverno, Balla coi lupi partirà alla ricerca di qualcuno che lo possa ascoltare, una volta ancora, consapevole che la frontiera che tanto aveva cercato è prossima alla fine, e ancora all’oscuro della data che sottoscriverà la resa incondizionata della nazione indiana all’ “uomo bianco”, soltanto tredici anni più tardi.

 

Commento
Fin da piccolo, con i vecchi “John Wayne” di mio nonno, sono stato un grande fan del western, e, inutile negarlo, un sostenitore degli affascinanti indiani, uomini indomiti, tranquilli, feroci e dolci, vestiti con gusto straordinario e dipinti come artisti, più che guerrieri.
Con gli anni, i libri, i film, i fumetti, ho imparato a conoscere anche i lati oscuri di una civiltà che, purtroppo, a seguito di tante altre, è stata soffocata dall’ invasiva “modernità” del più grande distruttore degli ultimi 2000 anni, il cosiddetto “uomo bianco”: eppure, nonostante la ferocia dei Pawnee o gli assalti alle diligenze, alle carovane, non ho mai sentito, letto, visto, nell’antica cultura del popolo degli uomini, altro che armonia. Così torniamo a John J. Dumbar.
Al primo incontro “formale” con la tribù Sioux sua vicina, il tenente dichiara, infatti, che solo con questa magica parola si sente in grado di definire un popolo così orgoglioso, diverso, misterioso. Ogni azione di ogni membro della tribù – e non solo – pare essere pervasa da una sorta di rispetto per ogni cosa attorno, anche quando le azioni sono motivate da vendetta e violenza.
La prima volta che approcciai l’opera prima (e l’unica degna di nota) di Costner regista, avevo negli occhi le immagini sporche e senza speranza degli Spietati e quelle epiche e maestose di Ombre Rosse, e, non senza riserve, speravo almeno di vedere una sorta di “fotocopia” in brutto dei due suddetti capolavori, con quel pizzico di “clamore” in più di cui il cinema moderno sembra non riuscire più a fare a meno. Invece, colta l’ironia della prima sequenza “eroica” del tenente Dunbar, e iniziato con lui il viaggio verso la frontiera, giungendo a quasi un ora di film senza alcuna traccia di didascalismi o inutili “battaglione” di ampio respiro, lasciato solo con la natura e le riflessioni di un uomo assolutamente comune, equilibrato, timoroso e curioso a un tempo, mi sono ritrovato a scomodare paragoni importanti – e sicuramente fonte d’ispirazione di Costner – come quello del “Piccolo grande uomo” di Arthur Penn, dove assistiamo al racconto di un vero e proprio “antieroe”, di una persona che vive, soffre e gioisce, che non s’impone – o si deve imporre – per forza come un protagonista.
L’arrivo di Uccello Scalciante, poi, da una sferzata d’energia positiva all’intera pellicola, che passa sui nostri occhi come un sogno ad occhi aperti, dove, appunto, “armonia” pare essere la parola chiave: con toni spesso scanzonati (splendida la sequenza del primo contatto fra Uccello Scalciante e Dunbar, così come il tentativo di furto del cavallo a opera di Ride coi denti e i suoi due amici e il primo “scontro” con l’orgoglioso Vento nei capelli, o la riunione accanto al caffè) Costner racconta la maturazione di Dunbar attraverso il quotidiano, prima suo, poi degli indiani, legato al grande atto della caccia al bisonte, agli scambi di doni e all’energia in cui gli stessi indiani credono, e che, legata all’armonia che li contraddistingue, li porta ad avvicinarsi a Dunbar, più che allontanarvisi, o peggio, giungere allo scontro.
L’arrivo dell’amore – forse l’episodio più forzato della pellicola, ma del resto passaggio obbligato per ogni film di grossa produzione – conclude il processo di integrazione di Dunbar, che, sposato da Uccello Scalciante, entra a far parte della tribù riscoprendo – o arrivando per la prima volta – la consapevolezza di sentimenti forti, sinceri, guidati dal cuore, nel bene e nel male, percorso che culmina con la battaglia contro i Pawnee, avversari dei Sioux, indiani “ostili” – pur se degni di rispetto e di “buone morti” – battuti grazie alla guida del fu Dunbar, ormai e mai più di quel momento Balla coi lupi.
Di grande impatto, in questa sequenza, vedere combattere ogni indiano rimasto nel campo, dagli uomini adulti fino alle donne e ai bambini – straordinaria la sequenza dell’uccisione di un guerriero Pawnee da parte dell’anziana moglie di Dieci Orsi, capo tribù, che finisce il nemico con una violenza degna del miglior combattente – “per difendere la propria terra e i propri cari, non confini immaginari e subdoli accordi politici”, come riflette Balla coi lupi.
In tutta la storia, nata e vissuta come una sorta di “sogno a occhi aperti” di un uomo che riscopre se stesso e il mondo tornando alle radici di un mondo stesso che pare essersi perso (didascaliche, forse, anche se decisamente necessarie, le sequenze degli scempi della cultura bianca, come i bisonti scuoiati e la violazione del “luogo sacro” dove, a detta degli indiani, “hanno avuto origine tutte le creature”), personaggi come Uccello Scalciante, Vento nei capelli, Ride coi denti, Alzata con pugno, Dieci Orsi e lo stesso Dunbar/Balla coi lupi, senza dimenticare il suo cavallo e il bellissimo Due calzini, veri e propri coprotagonisti, e simboli di quello che pare sfuggire alle “giacche blu”, assumono uno spessore sempre più ampio, divenendo più reali di quanto non possano – o potranno mai – essere e confermando nel western il respiro della grande epopea, forse uno dei prodotti più felici della cultura cinematografica americana.
Ci sarebbe molto da dire, soprattutto a proposito dell’ultima mezz’ora della pellicola, in cui, inermi, assistiamo all’improvviso crollo del sogno costruito nelle più di tre ore precedenti, al diario di Dunbar strappato per pulirsi il culo (letteralmente) dai soldati giunti al forte e alla battaglia della definitiva separazione di Balla coi lupi dalla sua gente, preludio, comunque, dell’inevitabile partenza dall’accampamento indiano, dove il nostro protagonista lascia amici fidati (intenso e dolce l’ultimo confronto con Uccello Scalciante), rivali rispettosi (l’urlo imponente di Vento nei capelli rimarrà un riferimento nelle grandi epopee del genere e si impone come una delle più grandi scene di amicizia della storia cinematografica recente) e “uomini straordinari”.
La sensazione, al termine della pellicola, è quella di aver assistito alla morte di un sogno, oltre che di un popolo, e se è vero che gli Stati Uniti hanno proprio nel “sogno” la base delle imprese e dei fatti della loro giovane storia, viene quasi il sospetto che quel sogno, se non morto, sia, perlomeno, stato rubato ai legittimi proprietari, al pari di una terra che ancora oggi pare essere sporca di sangue.

Continua

   
Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
Balla coi Lupi

Sottotitoli:
Italiano, Inglese non udenti.

Formato:
16/9, 2.35:1.

Regia:
Kevin Costner.

Lingue:
Italiano 5.1, Inglese 2.0.

Cast:
Kevin Costner, Mary McDonnell, Graham Greene, Rodney Grant.

Durata: 221''

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