La Tecnica
Alexander, come la maggior parte dei suoi
fratelli kolossal, più o meno riusciti,
più o meno “d’autore”,
spaventa per la mole di materiale passibile
di un analisi tecnica approfondita, sopperendo
spesso, nei momenti in cui la tecnica stessa
difetta, con un gigantismo che impressiona,
stupisce e cela, a tutti gli effetti, i
passi falsi dell’intera opera. Proprio
pensando a questo, ritengo più opportuno
partire proprio dai difetti della fatica
di Stone, riassumibili, principalmente,
nella colonna sonora, nella scelta di alcuni
attori del cast e, soprattutto, in una sceneggiatura
che non convince interamente, e lascia spazio
a dubbi non tanto storici quanto prettamente
stilistici. L’idea di raccontare la
storia di Alessandro attraverso il vecchio
Tolomeo, suo effettivo successore, appare
funzionale, eppure contraddetta dall’inserimento
stesso dei flashback di Alessandro a proposito
della sua giovinezza e, soprattutto, del
rapporto fra il futuro condottiero e i suoi
genitori. Macchinoso pensare ad aggiunte
dello stesso Tolomeo per dare uniformità
alla storia che sta dettando allo scriba,
d’altra parte poco probabile che il
chiusissimo Alessandro – in vera confidenza
soltanto con Efestione – avesse rivelato
al pur fedele Tolomeo particolari così
intimi come il sospetto nutrito verso la
madre per il presunto ruolo di cospiratrice
da lei giocato in occasione dell’uccisione
di Filippo, o l’edipico rapporto con
Olimpiade fin dall’infanzia, per citare
soltanto due situazioni. A questo si aggiunga
l’eccessiva verbosità della
prima parte, il relegamento di Aristotele
a una sorta di “macchietta”,
e un eccessivo semplicismo nel “saltare”
i passaggi ritenuti dal regista meno importanti,
come la presa di Tebe o la costruzione di
Alessandria.
Passando poi alla colonna sonora, bisogna
obiettivamente riconoscere che il buon Vangelis
si sia forse eccessivamente “williamsizzato”,
e, sull’onda della pomposità
forzata delle composizioni dell’autore
delle colonne sonore della saga di “Star
Wars”, fatto scappare note e passaggi
eccessivi, che, specialmente in sala, più
che coinvolgere colpivano come un maglio
stordendo lo spettatore. Per quanto riguarda
il cast, l’operazione pare riuscita
soltanto a metà: Val Kilmer, nonostante
l’impegno, appare spaesato e fuori
ruolo (avrei visto molto meglio nel ruolo
di Filippo l’ottimo Brian Cox, anche
se, forse, troppo vecchio), e, per quanto
abile rispetto al suo standard, anche la
Jolie è quasi una costrizione (o
una necessità di botteghino?), considerato
che, trucco a parte, è coetanea del
“figlio” Colin Farrell.
Lo stesso Hopkins, nella parte del vecchio
Tolomeo, mi convince poco, ma del resto
non sono mai stato un grande fan dell’istrionico
“Dottor Lecter”.
Passando invece al resto del cast, mi sono
ricreduto, nel corso della visione, a proposito
di Farrell, molto più in ruolo di
quanto pensassi, e sicuramente più
convincente nella seconda parte del film,
quando il suo lato più selvaggio
(e naturale) esplode donando all’ambizione
di Alessandro i ruvidi atteggiamenti irlandesi
dell’attore. Bene anche Rhys-Meyers,
convincente Cassandro, con Leto e Stretch,
che, pur essendo parte dei “belli”,
riescono anche a mantenere una buona espressività.
Bellissima e misteriosa Rosario Dawson,
che, purtroppo, appare poco nel corso del
film, e, nonostante la scena dell’intimità
con Farrell e il suo indubbio fascino, da
il suo meglio, a mio parere, nelle scene
“da coperta”, la danza e il
matrimonio con Alessandro, quando ad esprimere
i sentimenti sono soprattutto i suoi occhi.
Plauso anche ai supervisori degli effetti
speciali, mai invasivi, ai costumisti e
al production designer Jan Roelfs, che confeziona
interni ed esterni di grande impatto, in
particolare la città di Rossane e
la splendida Babilonia, ripresa dal capolavoro
di Griffith “Intolerance” almeno
per quanto riguarda gli esterni ed eccezionalmente
abbellita da interni ricchissimi, un filtro
oro applicato agli obiettivi dal direttore
della fotografia ed effetti notevoli. Promosso,
dunque, anche Rodrigo Prieto, che, di pari
passo con il film, decolla più il
viaggio prosegue, regalando il meglio nella
scena dell’uccisione di Clito, ambientata
nel corso di un banchetto in India, e il
filtro applicato alla battaglia conclusiva,
girata con pellicola a infrarossi e “colorata”
quasi il sangue l’avesse dipinta,
nella miglior tradizione orientale.
Discreti il montaggio e la regia, con uno
Stone che ancora pare necessitare una sorta
di “livellamento” di alcune
sue imperfezioni, quasi la maturazione completa
non fosse ancora giunta per il pur non più
giovanissimo regista americano: lo stesso
Stone ha comunque il grande merito, in questo
caso, di aver narrato una storia difficile,
colma di mistero e potenzialmente in grado
di replicare lo scempio di Troy, con il
coraggio che da sempre lo contraddistingue,
portando in primo piano elementi come l’amore
di Alessandro per Efestione o l’armonia
globale tra oriente e occidente che, negli
States, hanno decretato uno degli insuccessi
commerciali più brucianti di sempre,
con un incasso pari a un decimo circa della
spesa effettiva di realizzazione. Potrà
essere avventato, ma certo al buon Oliver
non manca il coraggio del suo ispiratore,
considerando che errori simili costarono
la carriera a suoi ben più abili
colleghi come, uno su tutti, Michael Cimino,
che, dopo il fiasco de “I cancelli
del cielo” e il conseguente fallimento
della United Artists venne bandito quasi
completamente dal “giro grosso”
di Hollywood.
Come di consueto, chiudo la sezione “tecnica”
segnalando le tre scene che più mi
hanno colpito nel corso della visione, anche
se i momenti sarebbero molti, e, certamente,
a seconda dell’attenzione posta su
un aspetto o un altro del film come della
figura di Alessandro, sono passibili di
cambiamenti e opinioni anche discordanti:
il primo che segnalo è il dialogo
fra Tolomeo e Alessandro sulle vette dell’Hindukush,
a mio parere importante per sottolineare
il legame presente fra i due (utile anche
a definire il ruolo di successore dello
stesso Tolomeo) e la presenza, oltre a un
paesaggio mozzafiato, di quegli Dei che
tanto il condottiero pare voglia raggiungere,
superando anche la sorte avversa del mitico
Prometeo, che donò il fuoco all’uomo
e fu per questo punito da Zeus e condannato
per l’eternità ad avere le
viscere divorate ogni giorno da un aquila
venuta dai monti. Di grande effetto anche
l’illusione ottica del viso fra le
montagne, oltre all’intensità
del dialogo stesso: “Questo mondo
è più grande di quanto si
potesse immaginare. La morte è solo
l’ultimo confine, eppure premo sempre
più. Dobbiamo andare avanti, finchè
non troveremo la fine.” Le parole
di Alessandro sono specchio della sua solitudine
e della grandezza del suo sogno.
La morte di Clito, specialmente se legata
a quella di Filippo, è il secondo
episodio che mi sento di menzionare pienamente
a proposito della pellicola: il crescendo
di ritmo e tensione, partendo da una situazione
apparentemente “addormentata”,
filtrata dal vino nei personaggi e dai colori
e la danza per gli spettatori, esplode nella
rabbia e frustrazione di Clito così
come negli incubi edipici di Alessandro,
che, proprio in preda alla confusione venuta
dallo stato di crescente tensione fra lui
e i suoi comandanti, diviene preda di tutto
ciò che aveva sempre odiato in suo
padre, nella parte di lui che lo rendeva
più simile a Ercole, che ad Achille,
eroi presi a confronto dai suoi genitori
per mettere a nudo le aspirazioni che gli
stessi avevano guardando il piccolo Alessandro
crescere.
Chiudo citando, doverosamente, la seconda
battaglia, girata fra le foreste della Thailandia
nello stretto, con un montaggio nervoso
e secco, stacchi in quella che pare una
sorta di stop-motion accelerata e carrelli
laterali decisamente d’effetto, ben
supportati dal mancato uso di effetti speciali
su larga scala (la cosiddetta “moltiplicazione
degli uomini” in stile cavalieri di
Rohan) e dal lavoro incredibile degli addestratori,
specie riguardo all’utilizzo degli
elefanti.
Il climax della scena indubbiamente passa
attraverso il filtro ad infrarossi applicato
alla pellicola appena passato il momento
della ferita inferta ad Alessandro, dove
l’intero combattimento pare assumere
le proporzioni del massacro velato di una
sorta di “poesia dei colori”
che tanto mi ha ricordato il cinema di battaglia
orientale (dai più recenti “Hero”
e “La foresta dei pugnali volanti”
fino a indimenticabili capolavori come “Kagemusha”
e “Ran”).
Ottima la resa audio e video, buona l’edizione
Warner del dvd. Peccato per la spezzettatura
del film in due parti, considerando il fatto
che sarebbe certo stato meglio inserire
l’intero film sul primo disco lasciando
il secondo per i soli contenuti extra. Del
resto, i centosettanta minuti scarsi di
Alexander non sono i duecentoventi di “Ben
Hur” o “I dieci comandamenti”…
Contenuti Extra
La sezione degli extra, pur non offrendo
spunti particolari, si presenta comunque
ben curata, soprattutto considerando l’apparato
documentaristico legato alla realizzazione
del film, interamente girato, montato e
gestito da Sean Stone. Nel primo dvd troviamo
soltanto l’opzione del commento audio
del regista e i trailers, mentre, come detto,
nel secondo ha spazio il ricchissimo dietro
le quinte suddiviso in quattro sezioni dalla
durata complessiva di più di due
ore, che analizza, passando attraverso interviste
a Stone, ai produttori, attori, cast e crew,
l’intera genesi del progetto fino
alla realizzazione ultima, dai montaggi
conclusivi ai problemi di pellicola avuti
in Thailandia proprio a pochi giorni dalla
chiusura delle riprese.
Le diverse sezioni del documentario in realtà
sono parte integrante dello stesso complesso,
e, per quanto la lunghezza possa certo non
stimolarne la visione (almeno rispetto al
film stesso), resta interessante da vedere
più che altro per scoprire i meccanismi
che si celano dietro progetti a così
ampio respiro, dalla scelta degli attori,
alle pressioni della stampa specializzata,
al ruolo dei finanziatori e della produzione
(per Alexander furono necessarie ben venti
fonti di finanziamento raccolte in tutto
il mondo, cinematografico e non), fino agli
immensi sforzi realizzativi, dalla scelta
delle locations alla fabbricazione, partendo
dalle fonti storiche, dei costumi (ben diecimila!)
e dei set (quasi trecento), con il lavoro
di pittori, scultori, architetti, costumisti,
e tecnici di ogni settore artigianale. Stone
parla, in un passaggio del documentario,
di un associazione fra un film e una cattedrale,
con migliaia di persone al lavoro sul progetto
di una, e tutte ugualmente meritevoli e
responsabili di esso. Interessante lo spazio
dedicato all’addestramento militare
degli attori e alle interviste ai consulenti
specializzati del settore, tutti meravigliati
delle condizioni in cui i soldati di allora
combattevano le loro battaglie, sottoposti
al peso enorme delle armature (una media
di trenta/quaranta kg) e alla disidratazione,
e all’importanza che ebbe l’introduzione,
da parte di Filippo e Alessandro, della
falange macedone nella tattica militare
dell’epoca, dove la guerra era concepita
come un insieme di scontri uno contro uno,
e dove per la prima volta si ebbe ad intendere
un gruppo di persone, un esercito, una falange,
appunto, come un arma lei stessa.
Interessante anche la sezione dedicata agli
effetti speciali, riassumibile nello stupore
del regista a proposito della realizzazione
di un inquadratura per la battaglia di Gaugamela:
a tre secondi di “shot” corrispondevano,
infatti, tre settimane di lavoro dello staff
al computer.
Si prosegue analizzando la costruzione,
quasi interamente priva di riferimenti storici
precisi, di città come Alessandria
e Babilonia, filtrate, a seconda del momento
all’interno della pellicola e della
drammatizzazione, dalla fotografia di Prieto,
che tanto deve all’utilizzo di filtri,
e non soltanto per la decisiva battaglia
di cui si è già ampiamente
parlato, ed essa stessa profondamente analizzata,
dall’addestramento delle comparse,
agli infortuni, fino agli addestratori di
cavalli ed elefanti, nel corso del documentario.
Il dietro le quinte riassume e amplia, dunque,
tutto il discorso, forse partito con lo
stesso film, dell’inseguimento di
un sogno titanico, legato alle imprese dei
grandi eroi e Dei del passato. Se per Alessandro
la ricerca è orientata verso Achille,
Prometeo ed Ercole, qui ci sono Griffith,
Kubrick, Wyler, ma tutto sommato, per ogni
persona, dall’ultimo degli operai
fino allo stesso Stone, la sensazione è
la stessa: quella di un confronto con un
passato quasi troppo ingombrante e un impresa
che, di certo, cambierà il loro futuro,
perlomeno lavorativo. E se Farrell non pare
certo profondo come Alessandro, giunge il
buon Efestione/Jared Leto a “mettere
una pezza” al rozzo e distratto parlare
del suo collega. Proprio come nel film,
ancora una volta.
Entrambi i dischi comprendono una sezione
in dvd-rom che aggiunge ai contenuti extra
una sezione “online”.
Commento Finale
E’ molto probabile che Oliver Stone
ritenga questo il suo lavoro più
maturo, solido e completo. Certo è
un progetto ambizioso, per un regista che,
a dispetto del suo effettivo valore, ritiene
probabilmente di essere fra i migliori,
o vorrebbe, seguendo l’esempio del
suo eroe, superare ogni confine e arrivare
oltre.
Sicuramente c’è molto Stone
in questo film, ma, fortunatamente per lui
e per noi, c’è anche molto
Alessandro. Che pare slegarsi dal suo “creatore”
ribellandosi una volta ancora agli “Dei”,
lanciando un grido d’aiuto, la voce
di chi è solo, per volontà
e destino, ed è destinato alla grandezza
tanto quanto al fallimento.
Parafrasando una volta ancora il vecchio
Tolomeo: “Il suo fallimento superò
di gran lunga qualunque successo degli altri.
Io ho vissuto una lunga vita, ma gloria
e memoria apparterranno per sempre a coloro
che seguiranno la propria grande visione.
E il più grande di tutti è
lui, Alessandro il Grande”.
Tutto questo certo non basta, caro Oliver,
a fare un capolavoro, ma è sufficiente
perché tutto, in questo film, sia,
in un certo senso e a suo modo, “Grande”.
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