La Trama
Quarant’anni dopo la morte di Alessandro
Magno (C. Farrell), avvenuta il dieci
giugno del 323 A.C. a Babilonia,
quando il condottiero non aveva ancora compiuto
trentatrè anni, Tolomeo (A. Hopkins),
suo successore come reggente di Alessandria
e faraone, ne celebra e narra le gesta a
uno scriba che riporterà il tutto
ai posteri, probabilmente destinando il
suo manoscritto all’immensa riserva
di sapere che fu la biblioteca di Alessandria.
Alternando il racconto di Tolomeo con i
flashback di Alessandro stesso, percorriamo
l’intera, incredibile esistenza di
colui che, a tutt’oggi, è considerato
uno dei più grandi geni militari
della storia dell’umanità.
Dall’infanzia passata a Pella sotto
la nefasta e protettiva ala della madre
Olimpiade (A. Jolie) seguendo gli insegnamenti
di Aristotele (C. Plummer) fino all’adolescenza,
filtrata attraverso il problematico rapporto
con il padre Filippo (V. Kilmer), dispotico
e “sanguigno” tanto più
subdola e manipolatrice sia Olimpiade stessa.
Con la morte violenta del padre, mai del
tutto chiarita e dal condottiero mai dimenticata,
Alessandro a soli vent’anni divenne
sovrano della Grecia, manifestando da subito
un innata attitudine al comando e guidando
i suoi eserciti attraverso le coste del
Mediterraneo, fondando Alessandria d’Egitto
e preparandosi all’impresa che suo
padre aveva sognato per tutta la vita: affrontare
e vincere i Persiani di Dario il Grande
(R. Degan), l’impero più potente
del mondo, la porta d’accesso alle
meraviglie dell’oriente.
A Gaugamela, nelle immense pianure dell’antica
Mesopotamia, Alessandro e i suoi fedeli
generali, l’amato Efestione (J. Leto),
lo sfuggente Cassandro (J. Rhys-Meyers),
il possente Cratero (R. McCann), il giovane
Tolomeo (E. Cowan) e il già braccio
destro di Filippo, Clito (G. Stretch), a
seguito di una battaglia di proporzioni
epiche (si parla di quarantamila greci contro
duecentocinquantamila persiani) vinsero
l’esercito di Dario mancandone di
poco l’uccisione, e divenendo, di
fatto, la realtà più imponente
della storia antica. Dopo l’ingresso
a Babilonia e il trionfale benvenuto riservato
dalle popolazioni locali al macedone, Alessandro
decise di muovere avanti le sue armate,
alla ricerca di Dario in fuga e di un confine
che ancora non era conosciuto: ha così
inizio un estenuante viaggio attraverso
il medio oriente, l’attuale Afghanistan,
le zone più meridionali del continente
russo, la Scizia, territori allora quasi
inesplorati, sgominando tribù barbare
e annettendo al proprio impero città
e angoli di mondo sempre nuovi. Perfino
il ritrovamento del cadavere di Dario non
ferma l’avanzata dell’esercito
di Alessandro: giunto ai confini estremi
del mondo allora conosciuto, il condottiero
prese improvvisamente in moglie Rossane
(R. Dawson), figlia di un re barbaro assolutamente
priva di peso politico, nonostante le pressioni
dei suoi stessi generali di sposare una
macedone, o della madre, che l’avrebbe
voluto accanto della stessa figlia di Dario,
ancora a Babilonia sotto la protezione di
Alessandro.
Il lungo cammino, le decisioni insolite,
l’apertura forse troppo “moderna”
verso le culture barbare cominciarono a
minare la posizione di Alessandro agli occhi
dei comandanti, che si videro sventare il
primo di una serie di complotti e ammutinamenti
ai danni dal condottiero, conclusosi con
la morte di Filota e suo padre, da tempo
al seguito del macedone, e ugualmente processati
e messi a morte per tradimento.
Il cammino dunque prosegue, nonostante i
malumori crescenti, fino alle montagne dai
ghiacci eterni dell’Hindukush, che
fermano l’avanzata di un esercito
di centocinquantamila uomini che fino ad
allora aveva percorso ogni valico. Costretto
a riparare in India, Alessandro guida il
suo esercito contro le tribù locali,
misteriose ed affabulatrici, sotto la pioggia
dei monsoni e dietro la costante minaccia
di serpenti, acque putride, rivolte interne:
provati da un viaggio che pare non potersi
concludere e costantemente sotto l’influenza
del vino, Alessandro e Clito giungono a
uno scontro che vede la morte del secondo,
evento funesto che perseguiterà il
capo dei greci fino alla fine dei suoi giorni.
Neppure la vicinanza di Rossane –
moglie più sopportata, che amata
– e del suo Efestione – compagno
fidato e vero amore del condottiero –
riescono a lenire un dolore che pare non
avere fine, di battaglia in battaglia, di
viaggio in viaggio. Giunti nelle foreste
dell’India più profonda, Alessandro
e il suo esercito, in seguito a una vittoria
costata troppo cara, si fermano: per la
seconda volta, dopo la sua decisione di
sposarsi con una barbara, il macedone stupisce
i suoi compagni ordinando il ritorno a casa,
dopo un viaggio interminabile che li aveva
resi un “impero in movimento”.
Ironia della sorte, sarà proprio
a Babilonia, nella casa che tutti gli avevano
consigliato di cullare, lontano dalle battaglie
di campo, dai confini estremi e dal dolore,
che Alessandro ed Efestione moriranno di
febbri. Il suo regno, troppo grande perché
uomini meno forti di lui potessero tenerne
stabilmente i confini, venne spezzato e
diviso fra i suoi generali, che resistettero
combattendo fra loro, provocando, negli
anni appena successivi, la morte di Olimpiade,
di Rossane e dell’unico figlio del
condottiero che aveva, in neppure dieci
anni, conquistato tutto il mondo allora
conosciuto.
Resta Tolomeo, anziano, a narrare una storia
che è facile pensare mito, di un
uomo forse troppo “Grande” per
vivere. O perlomeno, per sopravvivere a
se stesso.
Commento
E’ difficile pensare di poter approcciare,
attraverso la materia malleabile, a tratti
ostile e certo non semplice, di un film,
una delle figure storiche da sempre più
affascinanti per carisma, importanza e numero
di imprese: quando, poi, l’ombra del
kolossal proietta la sua funesta aura di
sventura l’impresa appare più
impossibile, che ardua. Confesso, alla visione
in sala di questa pellicola, di aver avuto
più d’una riserva, riguardo
l’operazione, Stone, Farrell, l’accostamento
hollywoodiano a uno dei condottieri che
hanno più affascinato il mio personale
immaginario, oltre all’interesse storico,
e, di fatto, hanno contribuito a creare
il mondo che, solo due secoli più
tardi, l’impero romano avrebbe forgiato
e consegnato alla storia. Il film inizia
con un passo falso, almeno rispetto agli
“storici”, o chi vorrebbe veder
realizzato un racconto in assoluta fedeltà
di avvenimenti, cronologie, riferimenti,
quasi chi sta dietro la macchina da presa
non fosse un artista, ma un cronista, o
che si possa davvero pensare di poter riportare
fedelmente gli avvenimenti di una vita,
quando noi stessi ne siamo i principali
mistificatori. In ogni caso, quel “La
fortuna aiuta gli audaci” di Virgiliana
memoria trae da subito in inganno chi, da
Alexander, si sarebbe aspettato un film
rispettoso delle regole, pur divenendo,
a visione compiuta, l’interpretazione
migliore di quella che, a tutti gli effetti
e per quanto ci sia dato sapere, è
stata una delle esistenze più audaci
della storia.
Si apre dunque in questo modo una prima
parte di pellicola che, sinceramente, anche
alla seconda visione confesso di non gradire,
troppo celebrativa e convenzionale per stupire,
e verbosa, macchinosa e stentorea come solo
le opere di Stone sanno essere. Non un kolossal,
non un film. Solo materia rielaborata da
un regista dall’eccessiva personalità
che lancia nella mischia il ruvido Colin
Farrell con una capigliatura scolpita che
sa più di modello da passerella,
che di futuro conquistatore del mondo. Tutto
scorre quasi scontato – anche se lo
scontato, in questo caso, è sicuramente
superiore, per intensità, rappresentazione
e abilità, all’inguardabile
Troy e allo stanco Gladiatore, gli esempi
più recenti di film di genere –
fino al picco retorico della pellicola,
il discorso d’incoraggiamento di Alessandro
a Gaugamela di fronte all’immenso
esercito di Dario. Quel “per la libertà
della Grecia” gridato di fronte ai
mercenari persiani tanto mi ha ricordato
il bushismo dilagante degli ultimi anni,
con quella democrazia esportata che tanto
bene sanno “proporre”
gli americani: citando un noto comico milanese,
“se Maometto non va alla montagna,
gli Stati Uniti pensano ad abbatterla”.
Eppure, proprio con il culmine del peggio
della pellicola, ha inizio un escalation
che trasforma completamente non solo Farrell/Alessandro,
ma anche l’approccio di Stone così
come la lettura di un film certo non semplice
come il suo genere imporrebbe, che, molto
più dei suoi “colleghi”
sopra citati, andrebbe visto e analizzato
a fondo: proprio con la battaglia di Gaugamela,
dunque, la svolta. Per quanto non sia un
fan degli effetti speciali, soprattutto
conscio delle imprese assolutamente titaniche
realizzate da Griffith, Kurosawa, Kubrick
e Wyler in passato, e convinto che battaglie
“da togliere il fiato” siano
possibili anche con il “semplice”
utilizzo di comparse, e non della tastiera
e di un mouse, devo ammettere onestamente
che il confronto fra Alessandro e Dario,
seppur non lungo – in termini di tempo
– a quelli cui ci aveva abituati Peter
Jackson, supera ampiamente sia “Il
signore degli anelli” sia i lavori
più recenti passati sugli schermi.
Con l’ingresso a Babilonia, che tanto
deve alla rappresentazione che nel 1916
(!!!) ne diede, appunto, Griffith (le mura
sono assolutamente identiche), il film cambia
marcia, muovendosi in colori sempre più
avvolgenti e consegnando la figura di Alessandro
alla sua solitudine e al mito, forse spiegando
anche quell’inizio stentato che, in
un certo senso, potrebbe essere inteso come
la rappresentazione di un ragazzo ancora
in attesa di maturazione.
Con l’inizio del grande viaggio verso
oriente dell’esercito di Alessandro,
e l’inesorabile “abbrutimento”
che ne consegue (soprattutto in Farrell,
sempre più selvaggio, come nell’antichità,
in proporzione alla crescita dei capelli),
il fascino di culture misteriose, dimenticate
e pericolose che rapisce il condottiero
pare farsi strada nel cuore dello spettatore,
e nei suoi occhi, complici, come detto,
le scenografie e i costumi, e soprattutto
la straordinaria bellezza di Rossane, una
Rosario Dawson che supera pienamente anche
la sua “rivale” Jolie nel colpire
al cuore Alessandro (e non solo). Libero
dai condizionamenti di partenza, Alessandro
(e, probabilmente, anche lo stesso Stone)
porta il suo sogno all’estremo confine,
guidando l’esercito attraverso paesaggi
desolati quanto maestosi, mostrandoci il
lato più oscuro – e, probabilmente,
più umano – di un personaggio
che da sempre strega la fantasia del mondo
per la grandiosa portata delle sue imprese
e al mistero che ne condizionò le
scelte, dal discusso matrimonio con Rossane
all’interminabile viaggio alla scoperta
del mondo, dal sogno di una civiltà
“globale” unita sotto il suo
comando, con oriente e occidente mescolati
come un'unica, grande cultura alla solitudine
e alla crudeltà di un uomo ambizioso,
egocentrico, così confuso da potersi,
a tratti, pensare divino.
E’ possibile che, senza la distruzione
di Alessandria e della biblioteca che fu
il centro della cultura ellenica per secoli,
avremmo conosciuto molto di più,
delle sue imprese, il cui referente e storico
più “vicino” fu Plutarco,
vissuto trecento anni dopo il macedone.
Misteri, profondità, passioni incontrollate,
voglia di andare avanti, a qualsiasi costo:
il mito di Prometeo, così come verrà
rielaborato, duemila anni dopo, da Mary
Shelley per il suo Frankenstein, pare vivere
la sua umanizzazione in un Alessandro che,
solo anche con i suoi più fidati
uomini, ucciso il coraggioso Clito, compagno
e “reincarnazione” di suo padre,
vive il dramma di chi ha una visione troppo
grande per la sua epoca, e che, malgrado
l’amore di un compagno come Efestione,
pare quasi trascinarsi nella paura di essere
seguito, da sua madre fino ai suoi compagni,
fino a una fine indotta e inesorabile.
Giungiamo ai confini del mondo con un condottiero
provato, eppure alla ricerca di qualcosa
che continua a sfuggirgli, di fronte a un
esercito guidato da un avanguardia di elefanti
che appaiono come fantasmi della foresta,
simbolo di un mondo sconosciuto e affascinante,
suadente e letale, legato a Phobos, la paura,
che pare braccare Alessandro, come tutti
i suoi uomini, di fronte all’ignoto
del loro ultimo avversario. Davanti ai nostri
occhi si dipana così una delle migliori
battaglie del cinema recente, nello stretto
degli alberi, filtrata attraverso il sangue
di chi, su quei campi, muore, e di chi,
ferito, pare scampare a un destino che da
troppo tempo inseguiva. Forse Alessandro
sarebbe dovuto morire in quel momento, protetto
dal fido cavallo Bucefalo e soccorso dai
soldati, una volta ancora guidati dalla
carica del suo indomito spirito. Sarebbe
dovuto morire, e non ce l’ha fatta.
Forse per questo, decide di fare ritorno
a casa, a Babilonia.
Proprio a Babilonia il suo destino si compirà.
Come l’Achille che venerava e il compagno
Patroclo (non cugini, come in Troy, bensì
amanti), anche Alessandro perderà
Efestione, prima di scomparire lui stesso,
schiacciato da una battaglia che non può
vincere, forse perché non a capo
del suo esercito, l’unico nella storia
dell’antichità a non perdere
per tredici anni di guerre neppure una scaramuccia,
forse perchè ucciso da un complotto,
o forse, più semplicemente, perché
il suo corpo, come le sue conquiste, erano
sempre state troppo piccole per la sua immensa
ambizione. Non c’è altra strada,
per quelli come lui. Stone coglie bene il
dramma di un uomo che volle essere divino,
scoprendo forse troppo tardi di non potere,
per natura, violare questo patto segreto
con gli Dei stessi.
Tolomeo chiude il suo racconto parlando
dell’armonia globale sognata da Alessandro:
“La verità è che l’abbiamo
ucciso noi. Con il nostro silenzio, perché
non potevamo più andare avanti. Io
non ho mai creduto al suo sogno, fin dall’inizio.
Nessuno di noi. I sognatori ci svuotano,
devono morire prima di ucciderci, con i
loro maledetti sogni.”
Poi la rettifica, con la scusa di vaneggiamenti
di un vecchio pazzo: “Cancella questa
parte. Scrivi così: morì di
febbri e spossatezza a Babilonia, e il suo
regno fu diviso fra i suoi generali.”
Nessuno, credo, conoscerà mai la
verità, sugli avvenimenti che occorsero
in quell’epoca così lontana.
Quello che è certo, in ogni caso,
fu che un ragazzo, in dieci anni, aveva
cambiato il mondo traghettandolo verso l’allora
modernità. Il film di Stone ha tanti
difetti, e non è certo la perfezione,
nel suo genere come nella storia del cinema.
Eppure ha un grande merito: di aver portato
sugli schermi un nuovo tipo di condottiero,
ribaltando il vuoto mondo degli epigoni
contemporanei del kolossal e, chissà,
riportandolo agli antichi fasti.
L’ambizione supera certo il risultato,
ma del resto, fu così anche per lo
stesso Alessandro.
Se non ne ha colta la grandezza, perlomeno
Stone pare averne catturato lo spirito.
Continua
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