La Tecnica
E’ un impresa davvero ardua decidere
di descrivere, valutare, analizzare tecnicamente
la bellezza.
Perché, con tutti i difetti che questo
può comportare, o le detrazioni guadagnate
dagli spettatori meno pazienti, “2046”
altro non è che bellezza. Rivedendo
le immagini portate sullo schermo da Wong
Kar Wai, una delle realtà più
consolidate attualmente in circolazione
in campo registico, ripenso ai dipinti impressionisti,
alla già citata “Ricerca
del tempo perduto”, al fumo di
sigaretta che si alza sinuoso e lento sulle
note di “Casta diva”,
ai versi di Keats che recitava “Bellezza
è Verità, Verità è
Bellezza”: meglio non è
possibile definire quest’opera, un
lavoro che, se personalmente non posso definire
il mio preferito, almeno emotivamente, del
regista (“Hong Kong Express”
resta a tutt’oggi insuperato), certo
ne rappresenta l’apice tecnico, creativo
e produttivo.
Collaboratori e tecnici d’eccezione
coordinati dallo straordinario gusto estetico
di Wong Kar Wai, che pare incarnare il meglio
dei nostri Antonioni e Bertolucci filtrandone
il gusto attraverso la sensibilità
assoluta di Resnais, che, con il suo “Hiroshima
mon amour” è certamente
il punto di riferimento maggiore cui il
regista di Hong Kong faccia capo.
Non un sequel di “In the mood for
love”, piuttosto un suo ampliamento,
o un idea, un sogno, un ipotesi su quelli
che saranno gli anni di Chow dal 1962 al
1969, dopo la dolorosa separazione dall’amata
Li Zhen. Impeccabile la regia, splendida
– con picchi assoluti in apertura
e in chiusura – pur se molto complessa
la sceneggiatura, perfetta la conduzione
degli attori, dall’ormai consolidato
– e bravissimo – Tony Leung
all’apparizione fugace di Maggie Cheung,
passando attraverso un invecchiata ma mai
sfiorita Gong Li e le bellissime e profondamente
diverse Faye Wong e Zhang Ziyi, la prima
algida ed eterea (già splendida protagonista
del succitato “Hong Kong Express”)
e la seconda destinata a divenire l’attrice
simbolo della Cina del prossimo futuro,
passionale e vibrante. Come per le opere
precedenti del regista ottima la colonna
sonora, che fa tremare cuori e immagini
passando dall’opera alle canzoni di
Xavier Cougat, riprendendo il filo lasciato
sospeso da “In the mood for love”,
e la fotografia, elegante e ricercata quanto
le ardite inquadrature e i giochi di specchi
del regista.
Allo stesso modo perfetti costumi e scenografie,
curati dallo stesso montatore della pellicola,
in perfetta armonia con musica e, appunto,
fotografia. Effetti speciali delicati e
affascinanti, bellissima la città
del 2046, così come il treno che
ivi ci conduce e i costumi “futuribili”
in stile “Blade Runner”:
peccato – ma purtroppo, penso sia
dovuto a un amara, inevitabile questione
di sponsor – per la presenza, su numerosi
dei grattacieli della suddetta città,
del logo LG, nota marca di fabbricazione
di lettori e componenti Hi-Fi.
Arduo scegliere tre passaggi da suggerire
come “climax” della pellicola,
che andrebbe vista, rivista e gustata più
e più volte, complice la sua complessità
e non ultimo un semplice desiderio di perdersi
nella sua bellezza, ma, dovendo scegliere,
suggerisco l’apertura della stessa,
intensa e toccante, così magica da
far tremare, nelle immagini e nella narrazione
di Chow, da far pensare di essere al cospetto
di un capolavoro, la chiusura, di efficacia
e potenza altrettanto alte, e, soprattutto,
la parte dedicata al racconto della storia
d’amore nata sul treno che torna dal
2046 fra Tak e la Wen del futuro, un tripudio
di musica, immagini, colori e magia come
solo il miglior cinema può dare,
impartendo una lezione di poesia e stupore
che, purtroppo, in molti paiono essersi
dimenticata, soprattutto fra gli autori,
spesso condizionati da un estetismo gratuito
lontano dal legame qui mostrato fra immagine
e sentimenti.
Premiato dalla critica al Festival di Cannes
2004 e vincitore del premio come miglior
film non europeo all’ultima edizione
degli Europan Film Awards, “2046”
rappresenta senza dubbio una delle vette
più alte raggiunte dal cinema negli
ultimi anni, e, una volta ancora, alimenta
il mio rammarico per il risultato legato
a marketing e politica dello stesso Cannes
2004: pensare che la rinomata Palma d’oro
sia andata a un lavoro perfettamente condivisibile
ma tecnicamente dozzinale come “Fahrenheit
9/11” di Michael Moore a scapito di
meraviglie come “2046” e “Old
boy” è bene per la società
e la sua sensibilizzazione, ma un crimine
efferato contro il cinema.
Contenuti Extra
Al contrario dell’ottimo apparato
editato dalla Medusa per il precedente lavoro
del regista, con “2046”
CVC e Istituto Luce non si “sprecano”
più di tanto per l’edizione
presentata: confezione essenziale, priva
di lingua originale che, seppur supportata
da un ottimo formato audio (italiano) e
video presenta numerose lacune in tutta
la sezione extra: vengono infatti proposti
due trailer, due spot e una clip musicale
– certo extra non fondamentali –
che una lunga intervista a regista e protagonisti
solo parzialmente recupera, anche considerando
che la suddetta è sottotitolata esclusivamente
in inglese, probabilmente perché
recuperata da uno special realizzato all’estero
con il lancio del film nelle sale.
Analizzando quest’unico, vero “extra”
si evince quanto lavoro sia costato al regista
e ai suoi collaboratori questo film, la
cui lavorazione ha occupato i quasi quattro
anni intercorsi fra l’uscita di “In
the mood for love” e, appunto,
“2046”, dagli attori al laboratorio
per gli effetti speciali, dalla musica alle
scenografie. Interessante scoprire quante
nazionalità si siano radunate attorno
a al progetto, e di quante e quali collaborazioni
si sia avvalso Wong Kar Wai: per citarne
due, la Buf Compagnie, responsabile degli
effetti speciali, si era già occupata,
prima della pellicola del regista di Hong
Kong, di titoli quali “Matrix”
e “Alexander”, così
come il tecnico del suono Letessier aveva
partecipato alla realizzazione del capolavoro
di Terrence Malick “La sottile
linea rossa”. Curioso, invece,
l’aneddoto legato ai baffi di Tony
Leung, che, da attore, dichiara di non essere
in grado di rappresentare un cambiamento
profondo in un personaggio senza partire
da un particolare fisico, e che, a tal proposito,
ebbe più di un contrasto con il regista
perché questo, infine, accettasse
di vedere il suo Chow portare fieramente,
appunto, i baffi. Viene da pensare che il
taglio “a metà” subito
dal personaggio a causa di una scommessa
perduta nel corso della vicenda sia una
sorta di rivincita che Wong Kar Wai ha voluto
prendersi rispetto al suo “attore
feticcio”.
Commento Finale
C’è un luogo magico e incantato,
nascosto agli occhi del mondo, dove ogni
nostro ricordo vive per sempre, come un
presente senza possibilità d’errore,
pervaso dall’intensità dei
sentimenti più forti provati nella
nostra vita.
Un luogo etereo, dai colori avvolgenti,
ove rivolgere cuore, anima e segreti, come
un albero tecnologico che custodisca il
nostro retaggio sentimentale e ci scaldi
con il suo corpo ogni volta che il treno
passa attraverso le gelide correnti della
solitudine, come un amante silenziosa e
comprensiva.
Un luogo ove la libertà conquistata
perderà il suo significato, ma che
i ricordi conserveranno come eterna. Questo
luogo è presente nel futuro, ma non
abbiamo la certezza che esista, poiché
di tutti quelli che vi sono andati, nessuno
ha fatto ritorno. Questo è il 2046.
Da sempre, uomini e donne, cercano disperatamente
di raggiungerlo, per perdersi in quei ricordi.
La ricerca più famosa fu opera di
un certo Marcel Proust, così delicato
da non potersi neppure godere un bagno senza
che la sua pelle si ribellasse, eppure capace
di portare il mondo avanti, verso questo
futuro che non esiste. Lui non è
più tornato. Chissà se si
trova bene, nel 2046? Chissà se Chow
ha trovato quello che cercava? Con tutto
il cuore, spero che Wong Kar Wai non abbia
ancora concluso la sua ricerca, perché
un cinema come il suo nasce una volta ogni
cinquant’anni, e non vorrei perdermelo,
almeno finchè potrò goderne.
Il mio 2046 è lontano, e non voglio
farmi mancare tutta questa bellezza fino
ad allora.
Nel 2046 avrò sessantasette anni.
Spero di essere ancora vivo, di guardarmi
attorno e, avvolto dai colori, passare attraverso
gli amori che ho avuto, come in un libro,
perdendomi nella bellezza che hanno profuso
nella mia vita anche attraverso il dolore.
E spero di avere ancora il mio vero, senza
essere arrivato troppo presto, o troppo
tardi. E chissà, guardandomi attorno,
forse potrò scoprire che ad aspettarmi
ci saranno proprio loro, Marcel e Wong,
davanti a una tazza di te o con una sigaretta
che fuma lenta, danzando mentre si spegne...
Quasi troppo bello per essere vero.
Non per niente è il 2046.
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