Lo Hobbit – La desolazione di Smaug

Sono più di 10 anni ormai che Peter Jackson è alle prese con la saga tratta dai romanzi di Tolkien, e da allora ogni lungometraggio sbanca letteralmente i botteghini facendo scorta di premi e nomination.

Il primo film tratto dal libro “Lo hobbit” ci aveva lasciati col fiato sospeso mentre Bilbo e i 12 nani, sfuggiti da Azog, si avvicinavano sempre di più alla montagna dove riposa Smaug, il malvagio drago.

A coloro che hanno amato il libro, questo film potrebbe non piacere per una serie di motivi, principalmente per il fatto che i film dedicati a “Lo Hobbit” siano diventati 3, anzichè i 2 programmati, e questo può far pensare da subito che la scelta sia dovuta più ai soldi che un amore per la saga da parte di Jackson. Secondo, quando si allunga una minestra è inevitabile aggiungere laddove non sia necessario. E’ il caso appunto dell’elfa Tauriel, personaggio non contemplato nel libro di Tolkien.

L’elfa, interpretata da Evangeline Lilly, affianca il noto elfo Legolas-Orlando Bloom– e crea un interessante intreccio che movimenta la storia, ma risulta tuttavia del tutto superfluo.

Solitamente quando si produce un film ispirato a un libro si tende a stravolgere e tagliare; “Lo Hobbit” è un raro caso in cui succede l’esatto opposto.
I dialoghi rispettano quasi esattamente quelli del libro e lo stesso vale per il ritmo del racconto. Il tutto risulta comunque fluido, tenendo lo spettatore incollato allo schermo.
Laddove il libro lascia dei vuoti, gli sceneggiatori hanno trovato il modo di riempirli basandosi sugli appunti postumi dello scrittore.

Vanno sicuramente spese un paio di parole sugli effetti speciali, cosa inevitabile quando si parla di un film di Peter Jackson.

Si tratta di una pellicola che sicuramente da il meglio di se in una sala IMAX 3D: l’unico modo per godersi appieno l’innovativa tecnologia a 48 frame al secondo. Per i primi minuti la definizione e il dettaglio delle animazioni danno quasi fastidio agli occhi, avendo la sensazione di guardare un video di backstage, ma nell’arco di qualche minuto il disagio è totalmente dimenticato.

Come in ogni capitolo della saga, nessun dettaglio è lasciato al caso.

Ogni elemento, ogni personaggio, ogni comparsa e oggetto è perfettamente integrato, dettagliato e animato, per creare un’esperienza immersiva e unica per lo spettatore. I ragazzi della weta digital ( Iron man 3, The avengers, Avatar…per citarne alcuni) sembrano superare se stessi a ogni nuova sfida che gli si pone davanti. Smaug, il malvagio drago che regna sotto la montagna, vale da solo il prezzo del biglietto.
Nel cinema di draghi se ne sono visti molti, ma Smaug, pur conservando le fattezze del più classico dei draghi fantasy, è uno spettacolo di modellazione che impressiona quanto più lo si vede interagire con l’ambiente e ogni singolo granello di polvere.

Le scene d’azione sono letteralmente orchestrate e guardandole si può percepire lo sforzo di regia messo in atto, prime tra tutte la scena in cui i nani percorrono le rapide cavalcando dei barili.

Il film piace e, come il predecessore, lascia lo spettatore col fiato sospeso che dovrà aspettare fino a dicembre 2014 per vedere l’ultimo capitolo “Lo hobbit: andata e ritorno”.

A cura di: Manuel Bustamante
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