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Call of Duty: World at War |
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Versione per la stampa -
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la review nel forum
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Produttore:
Activision
Sviluppatore:
Treyarch
Lingua:
Italiano
Versione:
Pal
Genere:
Sparatutto
Giocatori:
1 - 12
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Ci si avvicina
a lunghi passi verso un altro Natale e, come tutti gli
anni, l’industria videoludica si prepara a sfornare
una valanga di sequel da stipare sugli scaffali di negozi
specializzati, supermercati e vetrine online. I titoli
sportivi aggiornano la rosa dei campioni alla stagione
corrente, quelli automobilistici offrono una grafica ancor
più realistica e poi c’è l’immancabile
gioco di guerra, il nostro caro ed amato Call of Duty,
che dal suo primo lancio non toppa neppure una virgola.
Anche quest’anno la tradizione verrà rispettata
e Treyarch, che si altrerna ad Infinity Ward nello sviluppo
dei vari capitoli, non può fare altro che deliziarci
con un ritorno alle origini della serie.
Il best seller Activision della scorsa stagione si era
discostato dalla Seconda Guerra Mondiale, per offrire
al pubblico un ipotetico scontro tra forze su un campo
di battaglia moderno, adottando come ambientazioni favorite
il medioriente e l’ex Unione Sovietica, ed affrontando
argomenti difficili come il terrorismo. Treyarch ha scelto
invece di adottare il nuovo e potente motore grafico di
Infinity Ward, per realizzare una tra le più realistiche
e sanguinose rappresentazioni del Secondo Conflitto che
si siano mai viste.
Il sottotitolo di questo gioco non a caso è “World
at War”, mondo in guerra, perchè ci vede
coinvolti su due fronti dal sapore completamente differente.
Da una parte c’è l’Armata Rossa, che
si prepara a sferrare il contrattacco decisivo contro
il cuore nero del Reich Nazista, dall’altra parte
del mondo invece si combatte sul fronte dell’Impero
Giapponese tra giungle selvagge e soldati senza paura.
La scelta di ambientazioni così diverse ha permesso
di inserire elementi nuovi per la serie, tra cui il tanto
atteso lanciafiamme, vero elemento portante del divertimento.
L’unica pecca di quest’arma è l’infinita
riserva di carburante. L’unico deterrente all’uso
costante del suo potere distruttivo è il veloce
surriscaldamento della bocca di fuoco, che ne inibisce
l’uso per alcuni interminabili secondi durante i
quali saremo vulnerabili. Sempre parlando di arsenale,
l’aver coinvolto ogni capo del mondo ha permesso
l’introduzione di moltissime tattiche di combattimento
(in particolare quelle giapponesi basate sulla mimesi
e sulle imboscate) ed un sacco di armi, tutte accuratamente
diferrenziate per capienza dei caricatori, cadenza di
fuoco e stabilità. Una vera e propria Santa Barbara
coi fiochi.
Sul discorso arsenale devo aprire una parentesi obbligatoria,
perché nella ricerca del realismo, lo sviluppatore
ha deciso di rendere le armi davvero devastanti. L’impatto
dei proiettili contro la carne è sottolineato da
animazioni ben realizzate, e da tremende mutilazioni che
potrebbero infastidire i giocatori meno avvezzi ai dettagli
eccessivamente cruenti. Va comunque sottolineato come
l’introduzione di questo elemento non sia mirato
a rendere il gioco sanguinario, ma solo ed esclusivemante
ad aumentare la drammaticità del combattimento.
Resta ancora inspiegabile il perché nonostante
tutto questo realismo, non sia ancora possibile radere
al suolo il paesaggio.
Anche la trama è volta all’aumento della
drammaticità. I dialoghi ancora una volta fanno
comprendere come la guerra trasformi l’uomo in bestia
sadica e vendicativa. Il gioco cerca di giustificare la
propria atrocità con scene simili allo sbarco in
Normandia di “Salvate il soldato Ryan”.
Sotto il profilo psicologico, per quanta psicologia possa
esserci in un FPS, “Warld at War” è
perfettamente riuscito.
Il motore grafico utilizzato da Treyarch per il
nuovo Call of Duty è lo stesso del quarto episodio
con qualche ritocco qua e là garantendo allo split
screen il giusto rapporto tra fluidità e qualità.
Il multiplayer on line non è stato mortificato
da tagli al comparto video che conserva texture e animazioni
entro gli standard del gioco offline. Una menzione speciale
la merita il lanciafiamme, che seppur lontano dal fuoco
dinamico di Far Cry 2, offre un impatto visivo davvero
eccellente. Quest’ultimo Call of Duty trae beneficio
dalla moltitudine di ambientazioni, per offrire non solo
i soliti paesaggi in rovina di una Berlino massacrata
dai bombardamenti, ma anche la magia ed il colore dei
castelli Nipponici, ricchi di colore ed immersi nei soleggiati
paradisi naturali.
La colonna sonora che accompagna il furore della
battaglia è composta da brani sinfonici e melodie,
che richiamano fortemente le origini del luogo in cui
si svolge lo scontro, ma hanno tutte una particolarità:
sono riarrangiate da potenti chitarre heavy metal, che
stranamente si fanno notare senza stonare nell’ambientazione
storica.
Il doppiaggio, se pur di buona fattura, soffre in più
di un’occasione il triste problema della sincronizzazione
del labbiale.
Ciò che in prima battuta, appare decisamente meno
gratificante, rispetto a Call of Duty 4 è il level
design delle mappe single player (per il multiplayer è
tutto un altro discorso).
I bivi e le strade alternative, introdotte già
dal “vecchio” secondo capitolo, sembrano
un discorso dimenticato. Non mancano gli spazi aperti,
che regalano agli occhi maestose azioni corali, ma spesso
e volentieri ci si trova cementati tra pareti invisibili
mal celate. Una nota positiva è che ci troviamo
di fronte a mappe di generose proporzioni, caricate in
maniera molto celere mentre a video girana il briefing
della missione accompagnato da filmati d’epoca.
Il gioco scorre via liscio come l’olio, mentre il
nostro arsenale miete vittime a tutto spiano, anche perché
nazisti e giapponesi virtuali sembrano non avere molto
sale in zucca. In compenso ai livelli di difficoltà
più elevata, gli eserciti avversari sono composti
interamente da formidabili cecchini. Più di una
volta ho provato il desiderio di scagliare dalla finestra
il pad, giocando alcuni ostici passaggi, fortunatamente
è ostico ma non impossibile. La durata complessiva
del titolo è tranquillamente paragonabile a quella
dei suoi predecessori, tutto stà alla vostra bravura
ed al livello di sfida selezionato.
Anche quest’anno la “parte del leone”
spetta al multiplayer, che offre addirittura la possibilità
di giocare l’intera campagna, cooperando con altri
tre giocatori on line. A questo va, come al solito aggiunto,
tutto il bagaglio standard delle schermaglie in rete,
ma con una sostanziale differenza: l’esperienza
accumulata durante le partite vi premia con degli aumenti
di grado, utili a far notare la propria bravura, ma ancora
più utili perchè vi permettono di accedere
ad un arsenale sempre più vasto, di personalizzare
le armi e creare dei kit su misura, composti da un’arma
primaria, un’arma secondaria, due tipologie di granate
e tre abilità particolari. Queste ultime vanno
dalla capacità di sopportare più colpi prima
di morire, ad una maggior capacità di danno contro
i nemici.
Il level design delle mappe, al contrario di quello single
player, mostra la grande competenza di Treyarch. Le aree
sono molto ampie ed eterogenee, non ci sono zone dove
potersi arroccare senza possibilità d’essere
colpiti e la dimensione media dei livelli è decisamente
ampia, permettendo ancora una volta la presenza dei carriarmati
ad irrobustire ulteriormente il comparto del multiplayer.
Senza dubbio alcuno Call of Duty Warld at War è
il degno seguito di Modern Warfare. Il regalo che ogni
appassionato della serie meriterebbe di trovare sotto
l’albero... e poi c’è anche una bella
modalità per quattro giocatori in cui combattere
contro gli zombi nazisti! Cosa si può chiedere
di più da un FPS? Io non lo so, ma lo scopriremo
di sicuro con il prossimo Call of Duty. |
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Votazione
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Grafica: 9.3
Sonoro: 8
Giocabilitá: 9
Longevitá: 8.5
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Voto Finale |
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+ Punta di diamante:
+ Multiplyer ricco mi ci ficco
+ Tecnicamente al top
- Pecora nera:
- Mappe non proprio eccellenti
- Problemi di sincronia del labiale
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