La Tecnica
The village è un film molto strano, al di là di ogni constatazione, interpretazione, parere personale o sviluppo di trama analizzati fino a questo momento, e, come vedrete, da quanto riprenderò nel commento conclusivo, eppure resta indubbia la grande perizia con la quale è stato opportunamente confezionato e portato sugli schermi: dopo aver citato l'efficace fotografia di Deakins e l'ottimo montaggio di Tellefsen, la funzionale colonna sonora (bellissime le parentesi dedicate al solo violino) e la buona direzione degli attori (Ottima la prova di Phoenix, certamente più a suo agio in un ruolo "positivo", discreto il debutto della Howard - anche se ho visto "ciechi" migliori -, bravi Gleeson e Hurt, sempre elegante Sigourney Weaver e, su tutti, lo straordinario - anche se forse qui troppo istrionico - Adrien Brody), non posso che concentrare la mia attenzione per la parte "tecnica" a tre momenti di assolutamente brillante regia: la seconda incursione delle creature nel villaggio, l'aggressione subita da Lucius e il confronto fra Ivy e la creatura nel bosco.
Cominciando dalla prima, certo appare indubbia la grande preparazione tecnica del regista, che, destreggiandosi abilmente fra dettagli (bellissimo il ripetersi delle mani avvinte di Lucius e Ivy) e simmetrie sfrutta, nel corso del pattugliamento nel villaggio, porte e finestre per alimentare tensione e sovrapposizione di campi, ottimizzando anche - e soprattutto - la fotografia e la coralità del momento (molto più sentita rispetto alle tavolate da campo).
Nell'ultima delle tre scene indicate, invece, il merito dell'ottima resa del passaggio, oltre allo stesso Shyamalan, va certo attribuito anche ad attori, colonna sonora e contrapposizioni di colori: al grigio "bagnato" del bosco appena passata la pioggia si sovrappongono il rosso delle bacche e del mantello della creatura e il giallo della cappa di Ivy, in un crescendo di effetti sonori che culminano nel piano sequenza che porta al confronto definitivo fra i due personaggi che, fino al ralenti risolutivo (ridondante, a dire il vero, come la soluzione trovata dal regista per chiudere la scena) costituiscono un crescendo di ritmo e tensione vertiginosi.
Ho tenuto il meglio - almeno per quanto mi riguarda - per la fine, ovvero la sequenza dell'aggressione di Lucius, che, fin dalla prima visione di questa pellicola, mi ha colpito per la sua efficacia, il notevole utilizzo del montaggio e l'effetto hitchcockiano con cui è stata resa la situazione: Lucius e il suo aggressore ai due opposti della stanza, la macchina che segue il primo fino a uno zoom in che - almeno fino a quel momento - quasi appare esagerato, sfiorando i limiti del primo piano, stacco, primo piano dell'aggressore, stacco, primo piano di Lucius, stacco, soggettiva su Lucius, la camera scende, il fatto è compiuto.
A parole, come ho appena descritto, non renderà mai come sullo schermo, ma al quarantottesimo minuto, restate in attesa di una vera perla, arricchita, subito dopo, da una bellissima inquadratura della stanza dell'aggressione, in equilibrio fra una scala, la porta (di nuovo) e un segreto, lo stesso presente in ogni casa degli anziani.
Complimenti al pur non simpatico Shyamalan, che avrà tanti difetti, ma certo non si può dire essere privo di tecnica.
Chiudo la sezione promuovendo anche la "confezione": ottime le rese video e audio, completo di DTS e 5.1, fondamentali quando si tratta di pellicole dense di suggestioni "uditive" come questa, e ottime quando si tratta di interagire e immedesimarsi con la cieca protagonista della storia.
Contenuti Extra La sezione dedicata agli extra si presenta molto ricca di spunti e ben curata, soprattutto per quanto riguarda il documentario sul "Making of" della pellicola: diviso in capitoli, analizza e ripercorre il lavoro svolto dal regista e dalla troupe, dalla prima stesura dell'idea all'ultimo montaggio.
Si parte dall'analisi dell'idea di un film in costume di ambientazione ottocentesca, scelta, a detta del regista, motivata dall'approccio, tipico del periodo, di un innocenza nata e sostenuta dal "non sapere", il miglior modo per preservare status quo, legami e, paradossalmente, la propria vita. In misura molto diversa e senz'altro raccontata ad un'altra profondità, è un discorso che riporta alla mente l'approccio dello straordinario "L'età dell'innocenza" di Martin Scorsese.
Terminata l'introduzione il documentario mostra la scelta della location - un area tra la Pennsilvania e il Delaware - e la costruzione - durata undici settimane e ultimata grazie al lavoro di una squadra di trecento persone - dello stesso villaggio. Il passo successivo, la scelta degli attori, riserva sorprese allo stesso regista, che, in particolare, non sperava nella partecipazione di Adrien Brody, premio oscar e ormai osannatissima superstar: Shyamalan confessa, inoltre, di operare, per i suoi lavori, una scelta di attori che abbiano alle spalle una consistente formazione teatrale, e che gli diano la possibilità di affidarsi completamente a loro nel caso di riprese molto lunghe o momenti di paricolare intensità.
Il terzo capitolo del documentario analizza l'addestramento cui l'intero cast si è sottoposto nelle settimane appena precedenti l'inizio delle riprese: trasferitisi nel villaggio, grazie alla consulenza di alcuni braccianti e membri di comunità, William Hurt, Sigourney Weaver, Joaquin Phoenix e i loro colleghi, dagli attori più consumati alle semplici comparse, si sono prodigati per assimilare più possibile del "modus vivendi" dell'epoca, imparando a lavorare il legno, tosare pecore, badare al bestiame, solo per citare alcuni dei loro nuovi compiti. Curioso l'aneddoto raccontato dalla Howard, che, dopo alcuni giorni di lavoro nei campi, ricordava di non aver ancora scambiato una sola parola con il suo "partner" Phoenix, che, di colpo, si presentò a lei con un bastone di legno interamente lavorato dallo stesso attore, con inciso il nome del personaggio interpretato dalla Howard. La stessa attrice ricorda, in proposito: "Non è stato difficile pensare di innamorarsi di Joaquin".
La seconda parte del documentario, invece, è interamente dedicata agli aspetti tecnici, dal montaggio (viene qui citata la scena dell'aggressione di Brody ai danni di Phoenix, di cui abbiamo già parlato) al sonoro, fondamentale in un opera basata principalmente sulle suggestioni e che ha come protagonista una ragazza cieca, che si avventura per amore in un ambiente sconosciuto, completamente in balia dei suoni da esso prodotti, attorno a lei, fino allo stesso score, legato all'utilizzo di violini, scelti per la loro profondità così come per l'inquietudine che sono in grado di trasmettere, e interpretata principalmente dalla prima violinista Hylary Hahn, coetanea della Howard e, per questo, secondo il regista, capace di infondere emozioni e visioni filtrate da una sensibilità simile a quelle dell'attrice anche nell'interpretazione della colonna sonora.
Chiude l'esaustivo documentario un interessante parentesi sulla creazione delle creature innominabili, studiate prima sui modelli e poi dal vivo, e più volte modificate fino alle due versioni definitive, rese più intense dall'utilizzo dei rossi mantelli e caratterizzate da un costume più "distaccato" - nel caso degli anziani - e "selvaggio" - nel caso del "ribelle".
Seguono il documentario una breve sezione dedicata alle scene eliminate, introdotte e commentate dal regista, tra le quali segnalo principalmente il racconto di August Nicholson - teso a spaventare Lucius e indurlo a desistere dalla sua volontà di lasciare il villaggio - sulla morte di suo fratello per mano delle creature innominabili e, soprattutto, la straordinaria risposta del giovane, il "Diario di Bryce", con la rivisitazione dell'intera lavorazione della pellicola narrata dall'attrice esordiente protagonista della prossima fatica di Von Trier, la consueta galleria fotografica e un vecchio corto diretto e interpretato dal regista ancora ragazzino, che richiama Indiana Jones e gli inseguimenti nel bosco delle creature innominabili. Certo un prodotto estremamente rozzo e acerbo, eppure pervaso da un buon senso del ritmo e della narrazione.
Una sezione, concludendo, certamente curata e interessante, buon approfondimento di un edizione che non si può non promuovere.
Commento Finale Come ho già anticipato, The village è un film molto strano, capace di stupire, impaurire, far discutere e riflettere: certamente una pellicola una spanna sopra i prodotti che l'horror, almeno ultimamente, si può permettere, e sicuramente, almeno nelle aspirazioni dell'ego smisurato di Shyamalan, un opera che rifugge da quello che, a una prima, certo non completa occhiata, apparirebbe come il suo genere.
Eppure, nonostante i suoi molti pregi, tecnici e non, la stessa vicenda, soprattutto nella seconda parte, appare involuta e vittima delle stesse premesse costruite con tanta perizia nella prima metà della pellicola: se si può, infatti, andare oltre i dialoghi talvolta troppo "pomposi" e lenti, o su qualche "licenza poetica" di troppo nella trama, giustificabile con interpretazioni "figurative", certo non può passare inosservata la discrepanza che colpisce inevitabilmente le opere di questo regista, che paiono sempre un passo indietro rispetto quello che, probabilmente, dovrebbero essere.
Certo un film da vedere, ma attenzione alle delusioni: incombono dietro l'angolo come le creature del bosco, e fanno male come le menzogne. Innocenza protetta o no.
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