La Tecnica
Saw, nato come un prodotto di nicchia per
il mercato indipendente, è divenuto,
grazie ai finanziamenti di produttori hollywoodiani,
una sorta di horror patinato con tutti i
pregi – e i limiti – del caso:
se la confezione, dal sonoro alla qualità
e alla resa visiva, o il montaggio, sono
certo buone, le pretese rimaste dietro un
opera nata come autoriale mostrano il fianco,
accanto a un cast che, certo, non può
essere paragonato a quelli dei più
illustri thriller citati sul retro del dvd.
La regia di Wan, a volte rigorosa e funzionale
a livello narrativo, nelle nervose accelerate
dal gusto più avanguardista perde
molte delle sue qualità, che, a voler
essere proprio cattivi – quasi quanto
l’Enigmista – per un ventisettenne
restano ottime fino a che la mente ci riporta
a Welles, che realizzò “Quarto
Potere” a soli venticinque
anni. Passiamo alla sceneggiatura, vero
e proprio punto dolente dell’intera
opera, partita, a quanto sembra, da un idea
del regista di due uomini incatenati in
una stanza che cercano di uccidersi ed elaborata
successivamente a costruire il mosaico della
pellicola conclusa: l’impressione
è che Wan e Wannell si siano essi
stessi perduti nell’intricato labirinto
di enigmi e possibili soluzioni che si erano
proposti, certo non aiutati dal fatto di
essere in due a lavorare al progetto. Ho
sempre ritenuto che un thriller (così
come un giallo, un noir o un horror “a
sorpresa”) debba essere gestito da
una sola mente, per evitare che le troppe
idee o i differenti punti di vista degli
autori anche solo rispetto uno stesso omicida
portino la storia a un punto morto, o a
un sovraccarico di dati senza spiegazioni
plausibili. Uno dei punti più eclatanti
è dato proprio dal finale, che qui
non svelo, ma che, senza dubbio, lascerà
perplessi anche quelli di voi che si apprestano
alla visione di questa pellicola.
Funzionali fotografia, scenografia e colonna
sonora, con i Fear Factory leggermente sottotono
nella theme song del film, buono il montaggio
– a mio parere lo spunto più
interessante della pellicola – e decisamente
inadeguato il cast: se Elwes cerca di “sopravvivere”,
per usare un termine che si adatti anche
alla pellicola, l’esordiente Wannell
mostra tutti i limiti della sua “prima
volta”, e gli stessi attori
di contorno appaiono statici e poco espressivi,
anche lo stesso Glover, che certo non sembra
a suo agio – nonostante i trascorsi
della saga di “Arma letale”
– con un ruolo che aveva da tempo
abbandonato. Personalmente lo preferisco
nei panni del mite professore de “I
Tenenbaum” (Wes Anderson,
2001). Tornando inoltre alle recenti review
di “Collateral”
e “36” le sequenze d’azione
in cui Glover è coinvolto con il
collega Leung appaiono così finte
da ricordare più una fiction per
la tv già dall’impugnatura
delle armi da parte degli agenti.
Come di consueto, in chiusura, cito le tre
scene più interessanti della pellicola,
curiosamente molto vicine tra loro nel corso
della visione. La prima è legata
al racconto della cattura di Lawrence, avvenuta
sulla strada e raccontata principalmente
attraverso sensazioni e suoni, nonché
grazie a un gioco di specchi che rende “La
bestia” responsabile del
rapimento inquietante e quasi sovrannaturale.
Stesso discorso vale per la seconda scena
che mi sento di citare, la cattura di Adam:
per certi versi simile a quella di Lawrence,
costruisce la tensione grazie, questa volta,
alla percezione visiva dell’appartamento
– il buio, il flash della macchina
fotografica, il rosso della camera oscura
-, e, nonostante il “telefonato”
colpo di scena in chiusura, resta a mio
parere la sequenza più tradizionalmente
horror della pellicola. Chiudo la mia selezione
con il dialogo tra Lawrence e Adam che demolisce
le rispettive menzogne per ricostruire –
questa volta davvero – i reali avvenimenti
che hanno condotto i due malcapitati fra
le braccia dell’Enigmista, quasi una
rivisitazione dei flashback mostrati fino
a quel momento, in realtà una semplice
ripresa degli stessi da un punto di vista
differente. Efficace e sintetica come avrebbe
dovuto essere l’intera pellicola.
Concludo spendendo due parole per l’edizione
italiana del dvd che, se dal punto di vista
del sonoro e della resa video appare molto
buona, ha come di consueto per il nostro
mercato modificato quella che era la locandina
originale del film, probabilmente per evitare
di turbare i benpensanti: al disegno (e
attenzione, di disegno si trattava) del
piede mozzato in campo bianco si è
passati a un nero che quasi nasconde gli
sguardi terrorizzati delle vittime dell’Enigmista.
Ancora una volta dimostriamo di aver bisogno
di crescere ancora, culturalmente parlando.
Contenuti Extra
“Saw – L’enigmista”
presenta una sezione discreta di contenuti
extra che, pur non attestandosi a livelli
altissimi soddisfa almeno in parte la curiosità
degli spettatori: escludendo i credits e
il consueto trailer, abbiamo la possibilità
di vedere le due versioni (censurata e non)
del video dei Fear Factory “Bite
the hand that bleed” e il
relativo making-of, introdotto dal regista
del video Eric Chase e interessante principalmente
per l’utilizzo dello “schermo
verde” che tanto ha incuriosito
di recente per l’importanza avuta
nella realizzazione del “Sin City”
di Robert Rodriguez e Frank Miller; si passa
successivamente al backstage, consueto dietro
le quinte che mostra il regista e la troupe
al lavoro “sul campo”
e risulta particolarmente intrigante soprattutto
nella parte dedicata alla “trappola
per orsi al contrario”, a detta dei
responsabili degli effetti speciali la trovata
migliore dell’intero film. Certamente,
fino ad ora, nessuno degli psicotici del
grande schermo aveva mai avuto una trovata
così inquietante.
“Sawed Off”, documentario sulla
realizzazione della pellicola corredato
da interviste e “incursioni”
sul set, offre invece uno sguardo d’insieme
sull’opera in stile special televisivo,
e, malgrado possa offrire interessanti curiosità
e spunti – l’idea di cinema
di Wan, il resoconto delle riprese, avvenute
in soli diciotto giorni – ha il grave
difetto di una durata “pubblicitaria”
(due minuti!!!) che ne impedisce il completo
apprezzamento.
Gli extra si chiudono con una sezione solo
apparentemente lunga di interviste, che
coinvolgono Wannell in veste di attore e
sceneggiatore, Emerson, Potter, Elwes, Glover,
il regista Wan e i produttori Gregg Hoffman
e Mark Borg, dove vengono toccati i temi
più svariati, dalla fortuna avuta
dagli autori nella ricerca di finanziatori
americani per il film (Wan e Wannell sono
australiani), al passaggio dalle idee di
due aspiranti cineasti al professionismo,
fino al lavoro sui personaggi, del regista,
fino alla ferocia del copione, all’impegno
profuso dal cast e all’evoluzione
dello script dalla prima stesura fino alla
versione definitiva. Purtroppo, anche in
questo caso, a dispetto della grande quantità
di temi accennati, tutte le interviste hanno
brevissima durata, a penalizzare quella
che, senza dubbio, poteva essere la parte
più interessante degli extra: come
per il film stesso, grandi pretese per modesti
risultati.
Commento Finale
Il cinema, si sa, nasce (come ho già
avuto modo di ricordare) come intrattenimento,
e da sempre, una delle sue più grandi
qualità è quella di fornire
l’evasione necessaria dalla vita di
tutti i giorni, oltre, certo, ad essere
la più giovane e promettente delle
arti: purtroppo esistono alcuni casi –
e “Saw” certo
ne fa parte – in cui, probabilmente
per un indecisione dovuta alla giovane età,
i registi paiono confusi sulla strada da
prendere, o, al contrario, si sentono troppo
sicuri dell’infallibilità della
via scelta: il risultato sono ibridi come
questo, incapaci di emozionare il pubblico
per puro intrattenimento e qualitativamente
inadeguati a ricoprire il ruolo di “cult”.
I cosiddetti film “da noleggio”
o, ancora meglio, da passaggio televisivo.
Non voglio essere troppo duro con Wan e
a proposito della sua opera prima, che certo
offre alcuni spunti interessanti, ma spero
che, dal prossimo lavoro, il giovane australiano
possa semplicemente svestire i panni che
pensa di indossare e fare quello che, nel
corso di una delle interviste si prefigge:
raccontare storie.
Le pretese, spesso, sono la malattia più
grave che possa colpire un autore.
Caro James, spero tu possa guarire, non
vorrei vederti finire come il tuo “Enigmista”.
Non indispensabile.
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