Un piccolo villaggio di contadini tailandesi
poggia le sue fortune e la sua buona sorte
sulla venerazione della divinità
Ong-Bak, ma un giorno la statua di Ong-Bak,
raffigurante Buddha, viene decapitata da
una banda di criminali coinvolti in traffici
di monumenti e reliquie sacre.
La testa del Dio viene rubata e portata
chissà dove e per il villaggio comincia
un triste periodo di carestia. La salvezza
dei poveretti è legata al recupero
della preziosa testa e così Ting
(Tony Jaa), il più forte delle nuove
leve del villaggio nonché maestro
di Muay Thai, la boxe tailandese, si offre
e grazie alla colletta della comunità
può partire verso Bangkok.
In città incontra George (Petchthai
Wongkamlao), emigrato dal villaggio per
fuggire le ambizioni del padre che lo voleva
monaco, e che si barcamena con attività
illegali di qualsiasi tipo, dal gioco d’azzardo
alle gare clandestine di moto. George ha
una complice, Muay Lek (Pumwaree Yodkamol),
e sa chi ha rubato la testa di Ong-Bak,
ma approfitta dell’ingenuità
di Ting per rubare tutti i soldi del villaggio
e giocarseli in una losca sala di combattimenti
a mani nude.
Ting lo insegue e nel tentativo di recuperare
i suoi soldi viene coinvolto in uno di questi
combattimenti: vince con un solo colpo e
viene notato dal re della malavita locale,
il quale è anche colui che commissiona
i furti delle opere sacre tra cui Ong-Bak.
Dopo inseguimenti a piedi e non, e dopo
scazzottate a non finire, tutto sembra risolversi
quando George e Ting patteggiano la sconfitta
nell’incontro di punta fra Ting e
la guardia del corpo del boss.
Ma costui non si smentisce e non solo non
consegna la testa di Ong-Bak, ma nello scambio
ordina l’eliminazione dei due.
George e Ting si salvano e, scoperta la
miniera segreta dove la gang gestisce i
propri traffici illegali, partono alla riconquista
del cimelio; ora George è recuperato
avendo compreso l’importanza dei valori
per cui lotta il suo sodale Ting, ma in
un drammatico finale, in cui Ting sconfigge
la gang uccidendo anche il boss e il suo
braccio destro, George muore.
Ting torna da eroe al villaggio che, grazie
alla reintegrazione della testa di Ong-Bak,
ha ripreso floridezza e vita, ma porta con
sé la tragedia del sacrificio dell’amico.
Questo piccolo gioiello uscì la scorsa
estate con una campagna pubblicitaria di
lancio che puntava sulla scoperta del nuovo
Bruce Lee e del nuovo Jackie Chan; credendo
ad un’ennesima bufala non andai a
vederlo, ma per fortuna l’ho ripescato
oggi in dvd.
I trailers avevano ragione: Tony Jaa è
un reale fenomeno che viene dalla boxe,
dal kung fu, dalla ginnastica, dal taekwondo
e dal lavoro di stunt, ma soprattutto dalla
muay thai, una delle più violente
ed efficaci manifestazioni degli sport da
combattimento, basata sui calci bassi, le
gomitate e le ginocchiate, oltre che su
una completa preparazione pugilistica.
Vedere combattere questo atleta è
un piacere sublime per chi ama questo genere
di pellicole, e per quanto mi riguarda “Ong-Bak
- Nato per combattere” è
già un cult imprescindibile tra i
film di arti marziali e Tony Jaa già
il mio personale eroe!
Posso sbilanciarmi nel dire che regge benissimo
il confronto con le due grandi superstar
succitate, pur concedendo certamente punti
ad entrambe in quanto a capacità
espressiva d’attore, ma nel genere
più “fisico” del
cinema Jaa sopperisce con i movimenti del
corpo, coi suoi gesti atletici straordinari
tutti compiuti senza effetti speciali o
controfigure… in questa luce ha senso
che nella pellicola molte scene siano riproposte
più di una volta a rallentatore e
filmate da diverse macchine da presa, proprio
perché il gesto immortalato è
unico e quasi irripetibile per un essere
umano.
Meno ironico di Bruce Lee, e a maggior ragione
del comico Chan, Jaa è però
più credibile nella fermezza dei
suoi propositi, nella durezza dei suoi colpi,
nella violenza vera della sua ira (nel finale
le ossa partono!!!) dovuta essenzialmente
alla forma con cui si esprime: la boxe tailandese.
Proprio per sopperire a questa lacuna gli
è stato affiancato Petchthai Wongkamlao
nel ruolo di George, attore che molti definiscono
come il “Takeshi Kitano tailandese”,
istrionico e sopra le righe ma anche commovente
nella sua redenzione finale.
D’altra parte Jaa regge il confronto
col grande Jackie proprio per la sua scelta
di fare tutto di persona e senza trucchi,
perdendo il confronto solo in un campo:
Chan è inarrivabile nel suo utilizzo
degli oggetti e nella sua interazione con
gli ambienti!
Come si conviene la galleria dei cattivi
è pittoresca e multiforme: a parte
il braccio destro dopatissimo del boss troviamo
personaggi del calibro di Pearl Harbor (un
energumeno vestito da marine), Big Ben (capellone
muscolosissimo), Toshiro (giapponese dalla
velocità di gambe impressionante)
e Mad Dog, un criminale dalla cattiveria
infinita.
Il film è girato ad arte da un regista
tailandese, con protagonisti tailandesi
e maestranze tailandesi, ricordandoci una
volta di più che non solo Hollywood
ha un’industria cinematografica florida,
ed è stato campione di incassi in
patria, dove la muay thai è sport
nazionale.
L’audio è ottimo presentando
addirittura il dts nella traccia italiana,
ma gli extra sono pressoché nulli:
trailer, biografia del regista e degli attori
principali e galleria fotografica.
Questo progetto è stato curato nell’intenzione
di lanciare oltre i confini asiatici la
moda della boxe tailandese (peraltro già
molto diffusa in Europa), tanto quanto all’epoca
Bruce Lee fece correre in palestra migliaia
di aspiranti atleti rendendo popolarissima
l’arte nobile del kung fu… anche
se la sorte di Jaa dovesse essere diversa
io credo che già ci abbia lasciato
un piccolo cult movie che non può
deludere gli appassionati.
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