La Tecnica
Basterebbe la sequenza d’apertura
della pellicola, che si chiude con il ritorno
a casa di Dave dopo il rapimento, per poter
definire questo film un vero “classico”.
Ritmo, inquadrature, tensione drammatica
esplodono da subito in dieci minuti assolutamente
perfetti.
Eppure, siamo solo all’inizio: Eastwood
si dimostra infatti pronto a sfornare quello
che, a mio parere, tecnicamente rappresenta
il punto più alto della sua produzione
(seppure, nel mio cuore di appassionato,
ritenga ancora “Gli spietati”
la vetta assoluta del cinema Eastwoodiano),
e che spazza via i dubbi che potevano essere
sorti dai suoi ultimi lavori, decisamente
più “nella media”
(Debito di sangue, Space Cowboys).
Riprese aeree, panoramiche, primi piani,
controcampi, si può dire che il regista
abbia dato fondo a tutto il suo sapere ponendosi
completamente al servizio della pellicola,
certamente aiutato dalla buona fotografia
di Tom Stern, dal lavoro – a mio parere
eccellente – di Joel Cox al montaggio,
Brian Helgeland alla sceneggiatura e dalle
incredibili performance di tutto il cast
(Penn in grandissima forma, ma di più
fa Robbins, assolutamente straordinario
nell’esprimere le angosce interiori
del tormentato Dave, ma una parola andrebbe
spesa per tutti i protagonisti, Laura Linney
e Marcia Gay Harden in primis).
Tecnica “pura” a parte,
comunque, credo che il grande merito e la
migliore caratteristica dei film di Clint
Eastwood sia sempre definita dalla sua straordinaria
capacità di raccontare, interpretare,
e dare spessore a ogni personaggio, spronando
così, a mio modo di vedere, anche
gli stessi attori al lavoro: anche nei momenti
di minor “tensione narrativa”,
o nelle pause – in questa pellicola
pressoché assenti – infatti,
trovo che il ritmo dei lavori di Eastwood
sia sempre vivo, vibrante, come una tempesta
o la quiete che, da detto, la precede.
Segnalo, oltre alla già citata sequenza
d’apertura, i dialoghi di Dave e Celeste
fra le ombre di una casa mai così
buia – subito dopo la gustosa citazione
del “Vampires” di Carpenter,
da cui Dave parte per giustificare “l’attacco”
del suo discorso sui vampiri nel mondo reale
– e di Jimmy e Annabeth a proposito
delle responsabilità del padre “forte”,
così come la sequenza parallela che
porta Jimmy al suo decisivo confronto con
Dave e alla risoluzione del caso da parte
di Sean, e la “passerella”
di chiusura, che, senza spendere parole,
gioca tutta la sua intensità nella
mimica degli attori. L’unico “rimprovero”
che mi sento di fare a Eastwood sta forse
nell’eccessiva libertà concessa
agli attori in alcuni passaggi della pellicola,
dove, soprattutto per quanto riguarda Penn
e Fishburne, si sembra eccedere un po’
troppo in istrionismo.
Scandalosa, anche se ormai consueta con
i prodotti di qualità, la mancata
assegnazione del Globe e dell’Oscar
alla regia, andati entrambi a Peter Jackson,
figlio, suo malgrado, di un epoca che forse
affida troppo alla tecnologia e troppo poco
all’artigianato del cinema, ma non
meno scandalosi dei premi vinti da Sofia
Coppola per il piatto “Lost in
translation” e l’oscar per
la sceneggiatura che, raccomandazioni a
parte, portava a mio parere già con
sé il nome di Brian Helgeland.
Dedico il mio ultimo appunto al cameo di
Eli Wallach nella parte del signor Looney:
trovo estremamente “accogliente”
vedere che, a distanza di più di
trent’anni, il “Buono”
e il “Brutto” cavalchino
ancora insieme.
Contenuti Extra
A completare il dvd una buona sezione dedicata
agli extra, divisa fra i due dischi: nel
primo segnaliamo la presenza del documentario
“Mystic River: dalla pagina allo
schermo”, che racconta la genesi
del film partendo dal romanzo di Dennis
Lehane, adattato da Brian Helgeland e fortemente
voluto da Clint Eastwood, attratto per caso
dalla lettura di una recensione su una rivista.
Interviste al regista e agli attori ci indicano
quanto per tutti sia stato coinvolgente
lavorare su un romanzo ben costruito e fortemente
carico di drammaticità, filtrato
attraverso una Boston che assume l’importanza
di un vero e proprio personaggio.
Lo stesso Eastwood dichiara di aver scelto
Helgeland come sceneggiatore anche perché,
oltre ad aver firmato altri suoi lavori
in passato, è di Boston come Lehane,
nel pieno rispetto dello spirito “cittadino”
presente nel romanzo.
Curiose anche le citazioni di Eastwood riguardo
i suoi maestri e gli insegnamenti che porta
ancora con lui, così come la grande
attenzione posta su un progetto molto “all’antica”,
privo di qualsiasi effetto speciale visivo
e fotografato e girato assolutamente “a
mano”.
Chiude il documentario una carrellata sugli
attori che dichiarano di non essersi mai
trovati così a proprio agio con un
regista come con il vecchio Clint, che Sean
Penn definisce – a detta di Tim Robbins
nel miglior modo possibile – “la
meno deludente icona americana che abbia
mai conosciuto”.
Nel secondo dvd della confezione, oltre
a due trailer cinematografici, segnaliamo
gli estratti dal Charlie Rose Show, con
interviste a Eastwood, Penn, Bacon e Robbins,
e un secondo documentario che approfondisce
i temi affrontati dal primo: “Mystic
River, dietro la storia”.
Di nuovo attori, regista, scrittore e sceneggiatore
analizzano i personaggi e la realizzazione,
ponendo un forte accento sulla grande libertà
d’interpretazione fornita da Eastwood
al suo cast, sulla scena “aggiunta”
(non era presente nella sceneggiatura) del
confronto fra Jimmy (Penn) e Annabeth (Linney)
– definita da Lehane come la più
importante del film – e sui tre matrimoni
dei protagonisti che, come loro, hanno profonde
diversità e spesso non sono quello
che sembrano, o che paiono all’esterno
– spettatori compresi - .
Commento Finale
Fin da bambino ho sempre avuto un certo
timore dei cosiddetti “classici”,
e una malcelata ostilità, spesso
legata a costrizioni scolastiche o definizioni
critiche che sapevano d’imposizione:
eppure è difficile, a volte, non
riconoscere lavori che, da subito, capiamo
possano definire (o ridefinire) un genere
e, perché no, un arte.
Non so quali strade percorrerà il
cinema quando maestri come Clint non ci
saranno più, ma certo è che,
pensando alla sua opera e, per ora, al culmine
di essa, questo mai abbastanza lodato “Mystic
River”, avrò, in futuro,
l’obbligo di contraddirmi quando,
ai i miei figli o a chi per loro, consiglierò,
forse apparendo come un “invadente
professore”, la visione di questo
film, sperando che, come è stato
per me, anche loro capiscano che spesso
“classico” non è
sinonimo di “vecchio”.
Se l’America dei giorni nostri affonda
sotto i colpi di Bush e armi da fuoco, può
contare su un salvagente culturale di una
generazione che, a dispetto dell’età,
continua a fare meraviglie: e se Scorsese
è la testa e Malick i polmoni, è
innegabile che Clint ne sia il cuore.
Se come questo , benvengano i classici.
Con il timore che possano essere sempre
troppo pochi.
Indietro
|
|
|