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Labyrinth - Dove Tutto è' Possibile


  

La Tecnica
Analizzata con sentita partecipazione la parte emozionale della pellicola, mi pare quasi strano pormi “criticamente” di fronte a questo film, quasi come se ora, dopo tanto tempo, dovessi riprendere in mano un giocattolo per evidenziarne pregi e difetti, rappresentando un negoziante, o un suo surrogato: certo, pensando alla media delle produzioni per ragazzi di allora (e non solo), Labyrinth si attesta comodamente tra le migliori, superando di gran lunga i recenti (e molto deludenti) Harry Potter, fortunatamente eclissati (almeno per quanto mi riguarda) da un altro ottimo prodotto di genere, quel “Lemony Snicket” passato abbastanza inosservato nelle sale italiane (del resto, purtroppo, non è la prima volta che titoli interessanti non ricevono l’accoglienza che meriterebbero).
Tornando a Labyrinth, è doveroso sottolineare che il successo e l’efficacia dell’operazione devono molto alle collaborazioni illustri che hanno generato questa pellicola: produzione di George Lucas (e non credo abbia bisogno di presentazioni), sceneggiatura di Terry Jones, uno dei famigerati Monty Phyton, canzoni composte da un certo David Bowie, che non sarà un mostro di recitazione, ma certo dona alla figura di Jareth il carisma che solo lui poteva trasferirvi, scenografie curate da Elliot Scott (che lavorerà a un altro capolavoro di animazione, “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”) ed effetti speciali supervisionati da George Gibbs, fresco premio Oscar per “Indiana Jones e il tempio maledetto” (chi non ricorda, a tal proposito, l’estrazione del cuore nel tempio di Kali?).
Da segnalare anche la funzionale fotografia di Alex Thompson e il contributo di Jennifer Connelly, allora soltanto quattordicenne, futura vincitrice di Oscar per “A beautiful mind”, scoperta da Sergio Leone soltanto due anni prima e inserita nel cast del suo “C’era una volta in America”.
Chiudo la sezione citando i consueti tre momenti clou della pellicola: il primo, sicuramente, è rappresentato dalla straordinaria visionarietà del corridoio delle mani parlanti a seguito di una delle trappole del labirinto in cui Sarah cade abbastanza ingenuamente. Splendido il volteggiare della ragazza sorretta da mani spettrali e farinose, quasi fossero appena uscite dalla terra più secca, che si uniscono per “parlare” costruendo volti e tratti così vari da stupire chi ancora pensa che le mani non siano una delle parti più espressive del corpo umano, indipendentemente dal fatto che siano attori o gente comune a farne uso.
La seconda scena che mi sento di citare è senz’altro il passaggio onirico appena successivo al morso alla pesca “avvelenata” di Jareth da parte di Sarah, con un ballo degno del miglior racconto di Kafka, confuso e ipnotico, la rottura dei confini della sfera e il passaggio alla discarica, con la stanza replicata di Sarah e la tentazione dell’oblio, che tanto sarebbe piaciuto realizzare, fra gli altri, al signor Tim Burton, altro regista che mi piacerebbe vedere all’opera su una pellicola come questa (in fondo, dopo il remake della “Fabbrica del cioccolato” potrebbe regalarci anche quello di Labyrinth…).
Merita l’ultima menzione il confronto finale fra Jareth e Sarah all’inseguimento di Toby nel cuore del castello, che, grazie alle scenografie di Scott diviene quasi una replica delle ipnotiche opere di Escher, artista dalle geometrie rigorose quanto vertiginosamente oniriche, sicuramente riferimento anche nella realizzazione del modello del labirinto, che “vive” e cambia a seconda di come lo si guardi, fenomeno molto simile a quello che prospettano i suoi quadri, forse tra i pochi in grado di rapire ugualmente critici e sguardi svogliati, catapultando gli spettatori in una realtà sconnessa eppure infinitamente rigorosa dalla quale pare impossibile fuggire. Senza dubbio il passaggio migliore di una pellicola che, anche ora, sotto la sua pelle, offre ottimi motivi di analisi, pur se privi, in questo caso, della componente fanciullesca che tanto le giova.

  

Contenuti Extra
Un prodotto atteso quale Labyrinth, di fatto oggetto di culto fin dalla sua uscita, fosse anche soltanto per la presenza di David Bowie, è stato discretamente onorato da un edizione buona, abbastanza ricca di contenuti extra che svelano alcuni dei misteri dietro la creazione del mondo di Jareth e dei suoi folletti: oltre, infatti, all’ottima galleria fotografica divisa in sezioni, agli esaustivi storyboard di alcune scene, alle filmografie dei protagonisti (Bowie e la Connelly), del regista e del produttore George Lucas e al trailer, il lungo documentario “Inside the Labyrinth” porta lo spettatore alla scoperta dell’intera genesi del progetto, dalla realizzazione della colonna sonora (ad opera dello stesso Bowie) all’immenso lavoro di Lucas e dei supervisori degli effetti speciali per trasformare pupazzi, marionette e idee del creatore dei Muppets in un mondo fantastico ricco di magia quale, di fatto, questo film è stato e, con molta probabilità, è ancora, a distanza di quasi vent’anni.
Interessanti anche gli spunti, affrontati nel dettaglio con il documentario, forniti dallo stesso booklet, a proposito della realizzazione della Gora dell’eterno fetore, creata dal nulla negli studios britannici grazie all’utilizzo di centomila litri d’acqua, una tonnellata di celacol (una polvere atossica addensante il cui utilizzo primario è legato alla pasta per la carta da parati), tinte, paraffina industriale e migliaia di perline di vetro.
Altrettanto interessante il racconto di Henson e dei suoi collaboratori a proposito dell’intero processo creativo del film, a partire dall’assegnazione della parte di Jareth a Bowie, scelta profondamente voluta dal regista che, alla prima stesura della storia, pensava già a una rockstar come “cattivo”: addirittura, nella prima rosa di possibili candidati alla parte, erano stati inclusi Sting e Michael Jackson.
Merita attenzione anche la parte di documentario legata alla creazione e all’animazione delle creature, sempre efficace e ancora in grado di stupire, pensando, una volta ancora, a quanto lavoro esiste alle spalle di ogni singolo movimento di uno solo dei folletti (ricordate “Nightmare before Christmas”?).
Chiudo la sezione confermando la buona resa audio (peccato manchi il 5.1!) e video, che, almeno per me, è risultata quasi una magia, considerando la vecchia vhs cui ero abituato, consumata da anni di (re)visioni. Curiosa la presenza, come terza traccia audio, dell’ungherese.

  

Commento Finale
Nel corso del secolo appena trascorso, anche il cinema, settima, e appena nata arte, si è occupato con grande sensibilità del “fanciullino” che vive nel cuore di ogni suo spettatore (e non solo): maestri del calibro di Fellini, Chaplin e Kusturica, seguiti dai Burton o dai recenti “figli” dei Pixar Studios, hanno raccontato il meglio di quello che, per natura ed età, lasciamo nel corso della nostra vita, relegandolo spesso a una stanza come quella in cui Sarah è tentata di restare nel suo sogno.
Il ritorno alla realtà pare alfine inevitabile, in fondo, e i sogni “non hanno alcun potere su di noi”, eppure, quando siamo soli, o soli ci sentiamo, soltanto un batter d’occhi è in grado di portarci in ogni dove, con tutti quegli amici e compagni che pensavamo lontani, perduti fra illusioni e memorie. Questo è il bello della fantasia. Tutto, ma proprio tutto, può succedere.
Pazienza se Henson non è un maestro, o se l’isola che non c’è non è proprio come l’aspettavamo.
L’importante resta sognare.

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Gianmarco    
 
   
 
  Titolo:
Labyrinth - Dove Tutto è' Possibile

Sottotitoli:
Italiano, Inglese, Arabo, Bulgaro, Ceco, Croato, Danese, Ebraico, Finlandese, Greco, Norvegese, Olandese, Polacco, Portoghese, Svedese e Ungherese.

Formato:
2.35:1 Anamorfico 16:9.

Regia:
Jim Henson.

Lingue:
Italiano, Inglese, Ungherese Surround.

Cast:
David Bowie, Jennifer Connelly.

Durata: 97'

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