La Tecnica
Passando all’analisi tecnica della
pellicola, credo che, come per la storia,
il regista abbia contato – e giocato
– molto sui suoi personaggi, affidandosi
alla passione profonda per essi e alle interpretazioni
dei protagonisti, entrambi bravissimi nei
loro ruoli: Birol Unel è straordinario,
Sibel Kekilli in parte, pur se surclassata,
parlando del Festival di Berlino dello scorso
anno, dall’incredibile performance
di Charlize Theron in “Monster”.
Menzione anche per la convincente Catrin
Striebeck, perfettamente calata nel ruolo
di Maren.
Molto importante, a mio parere, il contorno
ricalcato sui personaggi stessi, dai primi
piani ai particolari (le mani insanguinate
di Cahit, i giochi di sguardi, il piercing
all’ombelico di Sibel, solo per citarne
alcuni), quasi la camera cercasse di entrare
profondamente in loro, punto di forza della
storia e della regia quanto punto debole
della sceneggiatura, a volte così
concentrata sulle vicende soprattutto interiori
dei protagonisti da perdere coesione e “freddezza”
nei meccanismi.
Funzionali colonna sonora (affascinante
l’idea del cantato tradizionale con
sfondo un Istanbul da cartolina a introdurre
i singoli capitoli della storia, così
come la new wave a tutto volume prima dello
schianto di Cahit), montaggio e fotografia,
ottimamente organizzata da Klausmann, considerando
le sostanziali differenze (soprattutto per
quanto riguarda la luce) degli esterni di
Amburgo (per la maggior parte girati in
notturna, o bagnati dalla pioggia) e di
Istanbul (più “luminosa”
anche calato il sole).
Come di consueto, cito le tre scene che
più mi hanno colpito, nel corso della
visione della pellicola: si parte dalla
realizzazione di Cahit di essere innamorato
di Sibel, una piccola scena “corale”
che molto deve alle follie kusturiciane,
con il protagonista ubriaco che, sfondati
due bicchieri e con le mani insanguinate
(richiamo alla stessa Sibel, che tentò
il suicidio tagliandosi le vene), passa
fra la folla di un piccolo concerto fino
ad arrivare sul palco, ballando grondante
sangue con il sorriso dell’innamorato
sulle labbra.
La seconda sequenza che mi sento di sottolineare
è stata già parzialmente anticipata
nel commento: il montaggio incrociato, ritmato
da una triste canzone d’amore, che
compara la nuova solitudine di Sibel –
che ha perduto Cahit in seguito alle sue
scelte di libertà unite all’impulsività
del marito stesso, accentuata dall’amore
sbocciato fra i due – e l’incarcerazione
di Cahit, che conducono la protagonista
e lo stesso spettatore attraverso le conseguenze
immediate degli eventi, dalla tragedia in
prima pagina alla definitiva rottura –
perfettamente in accordo alle tradizioni
– fra Sibel e la sua famiglia (in
particolare padre e fratello). Grazie alla
musica e a immagini semplici quanto evocative,
ogni fotogramma colpisce dritto al cuore,
come dovrebbe essere, in quel momento, per
Sibel.
Fra i numerosi spunti di riflessione suggeriti
dalla pellicola, scelgo come ultimo riferimento
la splendida sequenza girata nella stanza
d’albergo di Cahit a Istanbul, nel
momento del ricongiungimento con l’amata:
da tempo non mi capitava di assistere a
un passaggio perfettamente complementare
di passione – le scene d’amore,
e appena successive, risultano estremamente
reali- e gusto – in tutta la sequenza
vige un perfetto equilibrio di inquadrature,
quasi stessimo assistendo come fantasmi,
che, guarda caso, a detta del tassista che
conduce nello stesso hotel Cahit, si dice
abitino fra quelle mura -.
Complessivamente, un film, anche dal punto
di vista tecnico, non privo d’imperfezioni,
eppure estremamente efficace e diretto nel
raccontare: se ancora, dunque, Akin non
può fregiarsi degli stessi allori
dei suoi già citati e illustri colleghi
Kusturica e Almodovar, riesce comunque a
centrare il bersaglio più importante
di qualsiasi narratore, ovvero essere abile
a trasporre coinvolgendo ed emozionando.
Per il momento, ben venga anche una qualche
perdita d’equilibrio: in fondo Cahit
e Sibel sono così belli proprio per
tutti i loro difetti.
Non ho ancora avuto modo di visionare tutte
le pellicole passate alla scorsa berlinese,
ma senz’altro ritengo, fra quelle
già viste, che questa fosse la più
meritevole e brillante. Giusto il suo Orso
d’oro.
Contenuti Extra
Utilizzo lo spazio della consueta sezione
extra per menzionare la buona resa audio
e video della pellicola, e l’ottima
copertina scelta per l’edizione: per
il resto, con mio grande stupore, e nonostante
l’ottimo lavoro recentemente svolto
in particolare su Polanski e Bergman, la
Bim confeziona una versione vergognosa per
un film trionfatore a uno dei festival più
importanti dell’anno cinematografico:
nessuna specifica su formato, tipo di audio
e sottotitoli e, cosa ancor più grave,
nessun contenuto extra, se non i “crediti”della
stessa Bim e dello studio grafico.
Era proprio così tremendo seguire
un percorso che già appariva ben
delineato?
Bocciatura secca.
Commento Finale
Quando ci si trova di fronte a un film degno
di nota, è sorprendente quante e
quali siano le differenziazioni possibili,
considerando tecnica, storia, coinvolgimento
e confezione: ci sono film perfetti –
o quasi -, confezioni senza sbavature, storie
appassionanti o magie senza controllo.
Non so a quale categoria associare “La
sposa turca”, ma, credo, non mi importa
definirlo.
Grazie al coinvolgimento che solo la passione
può dare, il bravo Akin ha confezionato
una pellicola imperfetta che fa dell’imperfezione
il suo punto di forza, e dei protagonisti
i dominatori assoluti, tra i pochi sconfitti
“vincenti” della storia del
cinema recente.
Inoltre, e non è cosa da poco, in
un nuovo millennio carico di tensioni culturali
tra oriente e occidente, finalmente un film
che non sia consolatorio, ma che, ugualmente,
avvicini come poche volte mi è capitato
di vedere.
Ben vengano opere come questa, che trasmettono
con immagini d’amore quello che nessun
comizio da nessuna “barricata”
politica sarà mai in grado di fare
nei prossimi mille anni.
Fortunatamente, per il prossimo lavoro di
Akin ci sarà da aspettare meno.
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