La Tecnica
Mike Leigh non è nuovo a confezioni
estremamente curate, dettagli quasi cesellati
e una macchina da presa leggera, invisibile,
e una volta ancora conferma le sue doti
sintetizzando in questa pellicola il meglio
che aveva dato nei suoi due film simbolo,
i già citati “Segreti e bugie”,
vincitore a Cannes nel 1996, e “Topsy-turvy”,
protagonista a Venezia nel 1999, pur senza
ricevere la massima onorificenza, toccata
invece a quest’ultima opera: dal primo
sicuramente deriva la grande ricerca e l’assoluto
rispetto per i personaggi e i loro dettagli,
dai primi piani ai particolari, dai racconti
ai litigi, dalle risate alla sensazione
costante di un “focolare” che
gira attorno all’obiettivo, o, in
qualche modo, risiede nell’obiettivo
stesso; dal secondo, invece, la straordinaria
cura delle scenografie e della confezione,
suppur non ricca e fastosa come era stato
per “Topsy-turvy”, appunto.
E nel mezzo credo si attesti anche il valore
tecnico di quest’ultima fatica di
Leigh, sicuramente, come detto pocanzi,
più matura delle precedenti, eppure
con meno “personalità”,
o ambizione, delle stesse. Il livello, in
ogni caso, resta molto alto, dalle musiche,
misurate e composte, ai costumi, dalle scenografie
alla curatissima fotografia di Pope, che
regala a mio parere i suoi momenti migliori
negli interni e, citando un occasione in
particolare, nell’arrivo di Stan e
Frank all’officina proprio nel momento
in cui il primo annuncia al fratello il
matrimonio della figlia Ethel. Buono, anche
se convenzionale, il montaggio, ottimi i
movimenti di macchina, come sempre leggeri
e armoniosi, tipici della “mano”
del regista, e straordinario – a dir
poco – il lavoro sui personaggi e
degli attori: Imelda Staunton è titanica,
e in quegli occhi azzurri e profondi, nelle
mani piccole, in quell’allacciarsi
il grembiule e sussurrare “ora stai
tranquilla, cara”, è il ritratto
perfetto di una madre. Certo una delle interpretazioni
femminili più grandi degli ultimi
dieci anni, meritevole vincitrice della
Coppa Volpi a Venezia, e, purtroppo –
anche se c’era da aspettarselo –
soltanto nominata all’Oscar, andato
alla pur bravissima Hilary Swank. Alle sue
spalle, pur se oscurati dalla grandezza
della protagonista, ho trovato bravissimi
Davis e Mays, padre e figlio sotto le righe,
eppure efficaci “spalle” per
un interpretazione come quella fornita dalla
Staunton. Bravi anche Kelly e Marson nelle
parti di Ethel e Reg, timidi e impacciati,
buona scelta per Wight nei panni dell’Ispettore
Webster e piccola comparsata dell’amico
Jim Broadbent nei panni del giudice, nel
finale.
Come di consueto, segnalo i tre momenti
“clou” della mia visione della
pellicola, identificabili con il confronto
fra Vera e Stan di fronte alla polizia,
con la rivelazione della verità da
parte della donna (straordinaria la resa
di questo passaggio: il dialogo si vede
ma non si sente, e Il segreto di Vera Drake
è rivelato dopo quasi vent’anni
al compagno di una vita all’orecchio,
come se gli stessi spettatori fossero poliziotti
presenti nella stanza, con l’Ispettore
Webster che, sul fondo, punto focale dell’inquadratura,
scompare con l’avvicinarsi delle due
teste dei coniugi, prima del dialogo), la
richiesta di Stan al figlio Sid di perdonare
la madre (simbolo, a mio parere, della grandissima
capacità di Leigh di narrare senza
eccedere, lasciando liberi attori e personaggi
mantenendo un controllo quasi invisibile
su una scena che, in altre mani, sarebbe
potuta facilmente cadere nel paternalismo
o nella retorica) e il finale “bressoniano”,
in senso fisico per quanto riguarda Vera,
e simbolico nel silenzio dell’ultima
inquadratura, che raccoglie tutta la sofferenza,
il sentimento e il cuore pulsante di una
famiglia di cui, a quel punto, quasi ci
sentiamo parte.
Chiudo confermando una buona resa audio
e video dell’edizione, pur se penalizzata
da una trama indicata sul retro che pare
quasi da commedia, e un apparato di contenuti
extra che, come vedrete ora, mi accingo
non troppo teneramente ad analizzare.
Contenuti Extra
Dopo “La sposa turca”, ennesimo
scandalo nella gestione della Bim per quanto
riguarda un edizione di un film vincitore
di Festival: capisco che molti campanilisti
possano aver storto il naso, quando Leigh
ha “soffiato” il Leone d’oro
al già annunciato Gianni Amelio,
ma penalizzare una delle pellicole principe
della scorsa stagione con un edizione priva
di contenuti extra, come di indicazioni
su tracce audio, sottotitoli e formato sembra
sinceramente troppo.
Trattare novità che, spesso, escono
a prezzi sostenuti, come edizioni da edicola
è offensivo nei confronti degli appassionati
e, soprattutto, degli acquirenti.
Commento Finale
Credo che tutti conoscano il detto “gli
occhi sono lo specchio dell’anima”.
Se vi capiterà di guardare questo
film, osservate bene come, attraverso l’azzurro
profondo dello sguardo di Vera, si specchi
la camera leggera e pungente di Leigh, pieno
di passione eppure misurato, timido come
Reg e combattivo come il giovane Sid, pacato
e paziente come i “sopravvissuti”
Stan e Frank, fratelli e colleghi, reduci
e sonnolenti combattenti. A prescindere
da quale sia la vostra posizione su un tema
scottante come l’aborto, se e come
cambierà dopo aver seguito la storia
di questa donna straordinaria, sedetevi
comodi, preparatevi un the e ascoltate una
vicenda girata attorno agli sguardi. Il
detto lo conoscete. E certo, questa pellicola
ha due grandi, profondi, azzurrissimi occhi.
Il resto viene da se.
God Save the Queen. E se non Lei, almeno
il migliore dei Suoi registi.
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