La Trama
Nel pieno degli “anni di piombo”,
all’apice della “lotta di
classe” che divide un Italia confusa
e mai così vicina alla guerra civile,
un avvenimento scuote l’intero paese
segnando un epoca, una svolta, il culmine
dello scontro fra Stato e Brigate Rosse:
il rapimento di Aldo Moro.
Attraverso gli occhi di Chiara (Maya Sansa),
giovane impiegata del ministero, idealista
brigatista e membro attivo del gruppo che
si incarica del rapimento del capo della
DC assistiamo, tra realtà e sogno,
a quello che è stato – o che
sarebbe potuto accadere – dell’escalation
di eventi e scelte che culminò con
l’assassinio dello stesso Moro (Roberto
Herlitzka).
In una realtà continuamente invasa
dal mezzo mediatico televisivo e a confronto
con cambiamenti che ancora dimostra di non
saper gestire, Chiara si muove a piccoli
passi, fatti soprattutto di sguardi e pensieri,
confrontandosi con i compagni brigatisti
– dal chiuso e problematico fidanzato
Primo (Giovanni Calcagno), all’impulsivo
e irrequieto Ernesto (Pier Giacomo Bellocchio)
fino al dispotico, ossessivo Mariano (Luigi
Lo Cascio) – con lo stesso Moro, le
istituzioni e la gente comune, il passato
– rappresentato non senza nostalgia
dal gruppo di partigiani compagni del padre
di Chiara – e il presente –
vivo soprattutto nella figura dell’amico
Enzo, fino a mettere in discussione gli
stessi valori percui aveva iniziato a combattere
e percui, all’inizio di tutto, sarebbe
stata disposta a uccidere o morire.
Chiara è consapevole o innocente?
Una “terrorista” o una
ragazza orfana obbligata a crescere troppo
in fretta?
Una combattente o una sognatrice alla ricerca
di un lontano, utopico rifugio – la
Russia rivoluzionaria dei suoi sogni - ?
Come spesso accade molte domande, ma non
una risposta.
L’inizio di una ricerca, o un risveglio
che stronca ogni sogno di liberazione.
Che resta solo un sogno, come Aldo Moro
liberato, all’alba, che torna a casa
camminando piano, sotto la pioggia fine.
Dall’altra parte, una realtà
di estremismo senz’anima e i volti
di un potere che, con tacito assenso, decretò,
di fatto, la condanna di un uomo, prima
che di un simbolo.
Il buio resta. Buongiorno, notte.
Commento
Non ero ancora nato quando accaddero gli
eventi che hanno ispirato Marco Bellocchio
per la realizzazione di questo film, e anche
se non conoscevo chi fosse Anna Laura Braghetti
(carceriera di Moro e autrice del libro
da cui il regista ha rielaborato il soggetto)
fin da bambino avevo sentito parlare i miei
genitori e i miei nonni del famigerato “Caso
Moro”: terroristi contro governo,
la rivolta armata delle BR contro il potere
oscuro della DC.
Eppure, nonostante tutte queste premesse,
prima di ogni discorso politico, trovo che
questo film si concentri sull’uomo:
negli occhi dei protagonisti, spesso inquadrati
in primi piani di grande suggestione, nei
loro gesti, nelle espressioni troviamo,
accanto al disagio di un epoca convulsa
e forse mal vissuta, tutte le pochezze e
le miserie dell’uomo, travolto, come
la storia insegna, da pulsioni insane legate
principalmente al potere.
Un potere, a mio parere, trattato in una
dimensione che non è “politicizzata”,
o perlomeno non vuole esserlo nell’accezione
odierna e mediatica del termine, ne un indagine
effettiva, o un inchiesta sui fatti allora
accaduti: partendo, infatti, dalla realtà
del rapimento e delle immagini di repertorio
di trasmissioni, telegiornali e sogni il
regista dirige magistralmente un gruppo
di terroristi “inventati”,
ma che nella loro umana debolezza, mostruosità,
deviazione paiono incredibilmente vivi,
reali: come Enzo dice a Chiara in un importante
passaggio della pellicola, “l’immaginazione
E’ realtà”, parlando
di una sceneggiatura da lui scritta ispiratosi
al rapimento, guarda caso “Buongiorno
– sempre citando Enzo – virgola
Notte, da un verso di Emily Dickinson”.
L’intelligenza con cui vengono trattati
temi di grande attualità come il
terrorismo, pur se rapportato a un altro
momento politico lascia a bocca aperta,
ed è capace di far riflettere ed
emozionare a un tempo, spaventando con l’insano
idealismo dei rapitori – emblematico
lo straordinario passaggio della cena in
cui, come in un sabba, i carcerieri di Moro,
difensori, a loro dire, dei diritti del
popolo, sussurrano come una litania “la
classe operaia deve DIRIGERE tutto”,
precedendo immagini di repertorio che riprendono
uno Stalin sorridente a capo della Russia
– e i visi silenziosi e contriti dei
rappresentanti di Chiesa e governo ai funerali
di Aldo Moro (sempre da repertorio), quasi
vergognosi nel tacito assenso all’esecuzione
del politico.
Come catturati dalla gravità di questi
due poli, un uomo e una donna restano soli
a barcamenarsi nel mezzo, in un confronto
a distanza che si consuma solo di striscio,
che li separa come fossero padre e figlia,
un uomo al termine della sua vita e una
ragazza con un futuro ancora da costruire:
e se il Moro politico si affievolisce, lasciando
spazio a un uomo stanco di lottare, a cui
“andrebbe bene anche un ergastolo”
pur di non morire per nulla, a cui anche
i rapitori danno del lei chiamandolo “presidente”,
Chiara, dal canto suo, affianca al quotidiano
confronto con i suoi compagni di lotta quello
con il mondo esterno, che parte dai vicini
di casa fino alla gente sull’autobus,
un mondo che non si riconosce nella rivoluzione
che loro hanno tanto sognato, che chiede
tranquillità, e non lotta, e che
vede orrore e non eroismo, nei loro gesti.
E passo passo, la progressiva consapevolezza
della fragilità del loro nucleo di
rivoluzionari, tentati dal ritorno alle
proprie vite normali – “E
noi saremmo soldati? Ma dai! Io non ho neppure
fatto il servizio militare”, dice
il compagno Ernesto – o resi ciechi
da ideali male indirizzati – “Voglio
vederla”, “Non puoi”,
“Ci vado ora”, “Se
è una compagna capirà”,
“Ma vaffanculo!”,
“Allora sei fuori dalle BR”,
quasi grottesco il litigio tra Mariano,
Primo ed Ernesto quando quest’ultimo
vuole abbandonare il rifugio per vedere
la sua ragazza - .
Attorno, la presenza di Enzo, autore della
sceneggiatura “Buongiorno, notte”
(presente anche nella borsa di Moro al momento
del rapimento) e vero spettro, a mio parere,
di una sensibilità più saggia,
matura, capace di distinguere contestazione
e violenza, che trova più di un punto
di contatto con l’ideologia partigiana
(stupenda anche la sequenza del pranzo con
i vecchi compagni del padre di Chiara che
ricordano gli amici caduti), costruita su
valori forse più semplici, ma puri,
legati ai propri cari e alla difesa di essi,
quasi in antitesi con l’ideale “monastico”
dei terroristi (anche in questo caso memorabile
il dialogo fra Moro e Mariano in cui prima
il segretario della DC accomuna le BR ai
primi cristiani, ricordando al suo carceriere
il tempo passato dall’ultima crociata,
e lo stesso Mariano ammette di non ricordarsi
neppure più di suo figlio, di essersene
per scelta allontanato, per provare che
la lotta armata riesce a superare ogni barriera
affettiva).
Nel momento a mio parere più alto
della pellicola, il raffronto fra la lettera
di un partigiano condannato a morte dai
fascisti alla giovane fidanzata e quella
che Moro – ormai “giudicato
colpevole” dalle BR – scrive
alla moglie, scopriamo come, nell’esplosione
di odio e violenza, gli estremismi –
destra o sinistra, DC o BR- siano angosciosamente
simili, e che nella morte – dai partigiani
ad Aldo Moro – o di più, nell’assassinio,
le vittime abbiano lo stesso volto.
Un film forse disperato, senz’altro
amaro e privo di una vera catarsi: ma se
di buone intenzioni è lastricata
la strada per l’inferno, con le miserie
– umane e di un paese – mostrate
in questa pellicola, Bellocchio ci ha certo
mostrato un'altra via.
La Tecnica
Dal punto di vista tecnico la pellicola
presenta un tasso qualitativo senza dubbio
elevato, ormai, purtroppo, merce rara per
il cinema nostrano (se si escludono, appunto,
lo stesso Bellocchio, Olmi, Amelio e Garrone).
Ottime direzione degli attori (su tutti
menzione di merito per Lo Cascio), fotografia
e montaggio.
L’uso del primo piano, spesso concentrato
sugli occhi dei protagonisti, pare sottolineare
la profonda ricerca sull’umanità/disumanità
dei personaggi, e ad esso si affiancano
straordinarie inquadrature dove il secondo
piano assume la stessa importanza (o superiore?)
del primo: si vedano soprattutto le scene
girate all’interno dell’appartamento
nelle fasi iniziali del sequestro, dove
i rapitori sono tutti in movimento e seguiti,
con un inquadratura fissa, contemporaneamente,
a più livelli, o la sequenza –
a mio parere da antologia – dell’ascensore
al ministero, girata in soggettiva dall’interno
della cabina che propone, dietro l’apertura/chiusura
delle porte, una sorta di “piano
sequenza” (non è il termine
esatto per definirlo, ma la sensazione che
ho avuto guardandolo è stata la stessa)
di quello che accade all’esterno,
al passaggio ad ogni piano.
Perfetta è anche la scelta delle
immagini di repertorio, montate con intelligenza
e un gusto quasi documentaristico nel corso
delle scene “televisive”
e oniriche del film: Bellocchio non me ne
voglia, se scomodo paragoni importanti,
ma in alcuni momenti il realismo di queste
immagini sovrapposto ai sogni di Chiara
mi ha riportato alla mente la grande tradizione
russa (non solo per la rivoluzione), da
Eisenstein fino a Sokurov.
Curioso che le più incisive di queste
immagini siano, per l’appunto, legate
al contesto “fantastico”:
“L’immaginazione E’
realtà”, forse è
proprio come sostiene Enzo.
Contenuti Extra
Eccoci infine giunti al vero punto debole
del DVD: se il livello del film e della
confezione (audio buono, formato in 16:9)
sono decisamente alti, i contenuti speciali
appaiono invece scarni e poco curati: tutto
è limitato alle consuete note su
regista e attori, al commento degli stessi
alla pellicola e al trailer del film.
Troppo poco considerando il potenziale valore
e significato della pellicola, legata a
un evento così importante della storia
recente del nostro paese. Almeno un documentario
su Moro, dalla vita al sequestro, sarebbe
stato molto utile, soprattutto per chi si
accosta al film senza avere una completa
visione dei fatti (ma qualcuno l’avrà
davvero?).
Commento Finale
Come già detto in precedenza, ultimamente
le proposte cinematografiche nostrane paiono
decisamente “a secco”,
a dispetto dei grandi del nostro cinema
che, nei decenni passati, hanno ispirato
e incantato il mondo: fortunatamente esistono
ancora (pochi) registi come Bellocchio,
che con intelligenza, tecnica e passione
sanno affascinare e colpire nel segno, in
cinque minuti come in quasi due ore con
la stessa intensità.
Realtà e immaginazione, storia e
politica, morale e sentimento.
Grande tecnica, grande regia, grande cast.
Questo è cinema.
Da vedere e rivedere.
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