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Painkiller


Il paradiso può attendere, il povero disgraziato di cui andate a vestire i panni è appena trapassato con la sua compagna durante un incidente stradale, solo che al posto di ritrovarsi di fronte a S.Pietro pronto a varcare i cancelli della pace eterna, si trova a firmare un patto che prevede i seguenti punti: primo, ammazzare tutti i mostri schifosi e bavosi, secondo, castigare i generali dell’inferno, terzo vincere da solo una guerra apocalittica e come ricompensa per la missione attraversare quel cancello e rivedere la sua amata nell’alto dei cieli… magra consolazione per tutto quel casino no?

Che cos’è quindi Painkiller? Ovviamente uno sparatutto in soggettiva tutto adrenalina che sfoggia un motore grafico in grado di sfornare poligoni ed effetti speciali senza il ben che minimo problema; una vera potenza! Schizzi di sangue imbrattano muri e colonne, mentre i cadaveri di spiriti mostri e non-morti volano via spazzati dalla vostra furia, una sessione di gioco a PK sembra quasi un ciclone di piombo e violenza (Fico!!!)!
Le creature nemiche continuano a sbucar fuori da ogni dove, e il giocatore sempre più accanito continua a cliccare su quel mouse come se fosse il grilletto di un fucile mistico.
Continuano a piovere effetti speciali, luci esplosioni parti di fondale che si infrangono in mille pezzi. Ma voi ancora non siete sazi; giusto il tempo di una breve pausa tra un orda e l’altra per raccogliere i frutti (anime e oro) del vostro scempio e siete di nuovo catapultati nella mischia.

Bella roba… dopo tre livelli ho dovuto mettere il collirio per idratare gli occhi, perché non riuscivo più a chiuderli.
E poi, non so voi, ma per me non è proprio il massimo del gusto continuare a premere il grilletto ininterrottamente senza un minimo di cervello.
Lo so anch’io che in fase di preview mi aveva esaltato l’idea di tornare agli albori del genere, quando l’ignoranza del FPS era la norma; ma non mi aspettavo di limitare cosi tanto il gameplay alla pressione continua e spasmodica di un solo tasto girando in torno al nemico come una mosca.
Nessun dubbio sulla resa GRAFICA che fa veramente una gran bella figura sui nostri monitor, merito anche di un design delle creature che popolano i livelli a dir poco accattivante, ma come tutti, anche noi sappiamo che una bella resa a video viene stroncata da quella massa inutile di neuroni che, ad un certo punto non ne vogliono più sapere di premere quel pulsante sinistro come fosse il nostro unico motivo di vita (anche il dito inizia a far male ad un certo punto).

Fortunatamente a variare una formula di gioco un po’ troppo ripetitiva vengono in nostro soccorso delle “piccole” trovate: i boss di fine mondo. Questi sono creature gigantesche, alte come un palazzo di sei piani che vanno affrontati in apposite arene con strategie di volta in volta diverse
costringendovi a far lavorare non solo muscoli e tendini della mano ma anche una o due cellule cerebrali, e comunque il gusto di tirar giù una specie di Evangelion non è da sottovalutare.

Per CONCLUDERE lo possiamo definire come un The House Of The Dead slegato da binari invisibili, oppure un nuovo Serious Sam con un’atmosfera decisamente più cattiva, quindi sparare, sparare, sparare! Carino, ma alla lunga risulta troppo ripetitivo per tenere alta l’attenzione del giocatore, che dopo le prime esaltanti partite perde la voglia di vedere come prosegue l’avventura, perché sa già che cambieranno solo le mappe e le facce dei mostri ma nient’altro.
Chiunque sia alla ricerca di un gioco dove il cervello si può tranquillamente prendere una vacanza può aggiungere un punto al voto finale, per tutti gli altri confermo il mio giudizio.



   
Sergio    
 
   
         
       
     
 

  Prodotto
  Dreamcatcher
  Sviluppatore
  People Can Fly
  Genere
  Sparatutto 3D
  Giocatori
  1
  Lingua 
  Italiano
  Votazione
   
  + Punta di diamante:
  - Grafica mostruosamente bella.
  - + Bellissima l’ambientazione gotica.
  - Il giocone ignorante d’un tempo.
  - Pecora nera:
  - Forse un po’ troppo ignorante.
 

- La vera sfida è aver voglia di finirlo.


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